Raccontarono un Paese pieno di forza e orgoglio
Mazzocca: per la prima volta esposta la collezione Angiolini
La prima uscita pubblica, all’Esposizione Nazionale di Firenze del 1861, fu un disastro. Li chiamarono effettisti, e non per complimento. Il termine macchiaiolo, comparso l’anno dopo sulle pagine della Gazzetta del Popolo, teneva lo stesso tono di scherno, allusivo a una pittura sommaria, non finita, incapace di oltrepassare lo stadio di schizzo. Ma l’arte di Signorini e compagni, lontana dalle forme congelate dell’Accademia, era volutamente disinteressata al cesello. E parlava del mondo con un linguaggio rustico e libero. Che non venne capito.
Incompresi dalla critica, trascurati dal pubblico, snobbati dal mercato, quei giovanotti chiassosi e affamati conobbero in vita ben poca fortuna. La mostra I macchiaioli. Capolavori dell’Italia che risorge (Padova, Palazzo Zabarella, dal 24 ottobre al 18 aprile 2021) porta in scena per la prima volta chi li sostenne. Amici, mecenati, benefattori, simpatizzanti tratteggiati in filigrana dai dipinti che scelsero di acquistare e mettersi in casa. Ed è dagli eredi di una di queste dimore fiorentine che, tra le due guerre, il grande Emilio Cecchi, padre della riscoperta dei macchiaioli, vide «la più bella pittura di Fattori […], dove il suo nome e le sue tavolette son circondati di un culto che magari rasenta la superstizione».
Nelle sei sezioni della rassegna — che già si preannuncia best seller — i curatori Giuliano Matteucci e Fernando Mazzocca affiancano opere celeberrime a capolavori ritrovati. Più di un centinaio tra tavole e tele, che rimandano al gusto coraggioso di mercanti, nobildonne, artisti collezionisti (lo scultore Rinaldo Cornielo), borghesi illuminati (il direttore d’orchestra Ottavio de Piccolellis), intere famiglie (Frabbroni di Tredozio, Batelli, Bandini) nelle quali macchiaioli come Silvestro Lega e Telemaco Signorini trovano conforto e salvezza.
E poi, sopra tutti, Diego Martelli, intellettuale e critico di respiro europeo, nume tutelare ed esegeta di quell’allegra, ribelle compagine, alla quale spalancò la propria casa di Castiglioncello sulla Costa degli Etruschi, trasformandola in un topos della pittura di macchia. Martelli comprese subito la portata rivoluzionaria di quell’arte. Un’arte semplice e schietta, basata su valori universali ed eterni, intesa a ricreare l’immediatezza dell’emozione.
Dipingevano tutti dal vero, all’aria aperta, sotto il sole canicolare della campagna e del litorale toscani, per contrapposizione di masse cromatiche sintetiche e luminose. Partiture per luce e ombra. Martelli acquistò le opere più belle, oggi confluite nella Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti a Firenze.
Tra i fiancheggiatori del gruppo anche coloro che ne condivisero gli ideali progressisti. A partire dalla causa dell’unità nazionale.
Garibaldini e mazziniani, i macchiaioli non si limitarono a fare della lotta politica un argomento da caffè, nelle infuocate sedute quotidiane ai tavolini del Michelangelo. Furono pittori soldati, idealisti militanti, che la guerra la fecero e la raccontarono in numerosi dipinti con un’autenticità di toni sconosciuta alla pomposa pittura di storia. Per lungo tempo Giovanni Fattori fu identificato come pittore di battaglie.
Autentica mostra nella mostra, spiega Mazzocca, l’ultimo capitolo della rassegna. «Un excursus nella spettacolare collezione novecentesca dell’imprenditore e mercante livornese Alvaro Angiolini, ancora intatta e mai presentata al pubblico prima d’ora. Un uomo il cui spirito e il cui entusiasmo non erano poi tanto lontani da quelli che avevano animato i primi, antichi amici dei macchiaioli».
C’è un excursus nella spettacolare collezione novecentesca dell’imprenditore e mercante livornese Fernando Mazzocca