Che belle quelle partite a Milano
Che belle le partite a Milano, che bravo quel centravanti, che forti le ragazze che amano il calcio e leggono le pagine sportive. Il derby? No, è sabato e mi accingo a guardare Inter-Milan per senso del dovere nerazzurro. Pensando: esiste la tenacia ed esiste l’ostinazione. Decidete voi dove mettere il calcio italiano in tempi di Covid.
Le partite, i giocatori e le ragazze cui penso sono altre: le giovani donne che hanno portato il calcio femminile in Italia, negli anni 30, sfidando il fascismo. Decido io dove metterle: nella categoria dell’ammirevole tenacia e della forza d’animo. «Giovinette» è il titolo del libro di Federica Seneghini (Solferino ed.). E commuove, fin dal titolo e dalla copertina. Cinque ragazze abbracciate, scarpe coi tacchetti, camicette bianche, capelli corti, grandi sorrisi: più fascinose di certe modelle robotiche (che in un campo di calcio potrebbero fare, se va bene, i pali).
Perché mi ha colpito, il racconto di Seneghini (seguito da un saggio di Marco Giani, storico dello sport)? Perché spiega come ragazze italiane nate durante la Prima Guerra Mondiale — come mio padre — avessero il coraggio, negli anni ruggenti del fascismo, di creare la prima squadra di calcio femminile. I gerarchi erano perplessi: le donne dovevano stare in casa, non scendere sull’ala e crossare al centro. Tutt’al più, dedicarsi all’atletica leggera, come Ondina Valla.
Il regime cercò di ostacolarle: le ragazze dovevano utilizzare un pallone più leggero, mettere un maschio in porta, evitare gli stop di petto (ma si stoppa con lo sterno!, obiettò una calciatrice). La romantica Rosetta, la politica Giovanna, la saggia Marta, la coraggiosa Zanetti, la caparbia Lucchi e la stratega Stringaro: giovani donne trasportate in un racconto pieno di colpi di scena e descrizioni meticolose (campi d’allenamento, biciclette, trattorie).
Operazione rischiosa, ma riuscita. Ne viene fuori la stupidità di fondo del fascismo, e la determinazione di quella che gli americani chiamano «the greatest generation», la generazione più grande, nata negli anni 10 e 20 del Novecento. Noi che apparteniamo a «the luckiest generation» — la generazione più fortunata, nati negli anni 50 e 60 — dovremmo prendere esempio, in questi giorni difficili.
(Ps. Le «Giovinette» tifavano Ambrosiana Inter).