Elzeviro
Salvatore Veca (Mimesis) LA BIOGRAFIA COLLETTIVA DEL FILOSOFO
«Se la mia anima potesse stabilizzarsi, non mi saggerei, mi risolverei. Essa è sempre in tirocinio e in prova»: in questa riflessione di Michel de Montaigne potrebbe rispecchiarsi l’essenza del racconto autobiografico di Salvatore Veca. Già nel titolo, infatti, l’autore ci tiene a ribadire che si tratta di Prove di autoritratto (con Sebastiano Mondadori, Mimesis, pp. 198, 16; sotto la copertina). Ma c’è di più: la stessa evocazione dell’impossibilità a «stabilizzarsi» richiama alla mente concetti come «incertezza» e «incompletezza» che hanno accompagnato per lunghissimo tempo gli sforzi teorici di Veca.
Influenzato, probabilmente, dalla lettura dei Saggi e dalla «semplicità» della scrittura-pittura del filosofo francese («Voglio che mi si veda qui — annota Montaigne — nel mio modo d’essere semplice, naturale e consueto, senza affettazione, né artificio: perché è me stesso che dipingo»), Veca ci offre un autoritratto in cui il profilo della sua personalità emerge soprattutto attraverso la relazione con gli altri: compagni di scuola e di università, professori e maestri, studiosi e protagonisti della scena intellettuale europea. Una vita intensa dedicata alla filosofia e alla cultura, all’insegnamento e alla ricerca. Del resto, è lui stesso a ribadirlo in una delle pagine più toccanti del libro: «Le prove di autoritratto coinvolgono senza dubbio immagini di me nel tempo. Ma devo confessare che i diversi frammenti di “me” nel tempo implicano costantemente, nella stragrande maggioranza dei casi, un qualche “noi”. Così, i miei ricordi sono affollati da altri o altre significativi, senza cui l’autoritratto risulterebbe sfuocato o infedele. Noi siamo un “colloquio” come diceva il grande Hölderlin».
Una vocazione all’incontro che arriva perfino a condizionare la struttura stessa delle sue Prove: non una classica scrittura in prima persona, ma un’autobiografia peripatetica, dialogata, asciutto resoconto, privo di ogni retorica, di una serie di conversazioni con Sebastiano Mondadori. Dagli aspetti più privati (i legami con i genitori e il nonno e, poi, le relazioni amorose, un primo matrimonio e l’incontro decisivo con Nica Mondadori) alle amicizie intellettuali, editoriali e politiche (grandi pensatori e militanti impegnati nel sociale), il filo rosso della narrazione si identifica con la passione per la cultura e per l’impegno civile. Così questa complessa e variegata rete di rapporti — caratterizzata dal costante interesse di uno dei più brillanti filosofi contemporanei per l’intreccio tra saperi e teorie, esperienza e astrazione, politica e filosofia — si trasforma magicamente in un teatro sulla cui scena scorrono gioie e dolori, vittorie e sconfitte, entusiasmi e delusioni. Pagine in cui il lettore potrà ritrovare un pensiero «eretico» e «controcorrente», sempre in grado di smentire luoghi comuni e false certezze.
I corifei dell’insegnamento telematico, per esempio, potrebbero commuoversi nel verificare sul campo che la formazione è soprattutto frutto di relazioni umane e scambi vivi: sono i dialoghi con i compagni di studi e i professori che contribuiranno a orientare il giovane Veca. Alla stessa maniera, risultano istruttive le «gloriose sconfitte» derivate dai numerosi tentativi falliti di conciliare filosofia e politica. Un autoritratto, insomma, espressione del desiderio, quasi ossessivo, di fondare istituzioni in grado di irradiare cultura per alleviare ingiustizie e disuguaglianze e per difendere non solo i diritti civili ma anche il pianeta dall’avidità di un capitalismo sempre più rapace.