Dialoghi contemporanei I corpi della santa e del poeta Caravaggio incontra Pasolini
Al Mart di Rovereto la nuova esposizione curata da Vittorio Sgarbi
Quello che ROVERETO (TRENTO) secondo Roberto Longhi è il più antico dei dipinti siciliani di Caravaggio, il Seppellimento di santa Lucia — realizzato dall’artista milanese dopo la sua evasione dal carcere di Malta nel 1608 —, domina in doppia versione, originale e copia conforme. Ciascun esemplare, dodici metri quadrati di pittura esplosiva.
Nella grande sala del Mart, il museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, che accoglie il capolavoro siracusano di Michelangelo Merisi e indica il cammino della originalissima e brillante mostra Caravaggio, il contemporaneo. In dialogo con Burri e Pasolini (fino al 14 febbraio 2021), è pressoché impossibile distinguere la copia del Seppellimento dall’originale, disposti su due pareti opposte come se fossero l’una la immagine riflessa dell’altro, ed entrambi sprovvisti di didascalia.
Così ha voluto l’ideatore della mostra, Vittorio Sgarbi, presidente del Mart, poiché gli obiettivi che intendeva raggiungere — riuscendoci benissimo, come vedremo — erano due, l’uno di politica culturale e l’altro squisitamente artistico, in quanto riguardante l’irruzione della morte nella vita e la trasfigurazione, attraverso la violenza e la sua rappresentazione, non soltanto dei corpi umani, ma anche dei paesaggi e persino della materia inerte.
L’obiettivo di politica culturale è stato raggiunto recuperando il telero del Seppellimento di santa Lucia grazie a una iniziativa del Mart: per la prima volta un ente culturale, un museo, ha finanziato un’indagine diagnostica e un intervento conservativo, riuscendo a mettere d’accordo una serie di istituzioni diverse — Fondo edifici di culto del ministero dell’Interno, Regione Siciliana, Provincia autonoma di Trento, Istituto centrale per il Restauro di Roma, Centro regionale per il restauro di Palermo, Arcidiocesi di Siracusa, Fondazione Orestiadi — e sottraendo così al degrado una meravigliosa opera d’arte.
Il Seppellimento di santa Lucia, dopo questa mostra, tornerà a Siracusa, non più nella chiesa di Santa Lucia alla Badia in Ortigia — dove, come ha scoperto la storica dell’arte Silvia Mazza, l’umidità lo stava divorando —, ma nella sede originaria, Santa Lucia al Sepolcro, la chiesa fuori le mura nel rione della Borgata, dove Caravaggio pensò la sua opera. La copia del dipinto — ottenuta grazie a una tecnica sviluppata dalla Fondazione Factum con l’utilizzo di uno scanner laser — consentirà all’originale di rimanere «a casa» e a tanti altri capolavori, per esempio quelli custoditi nei musei, di essere riprodotti fedelmente in digitale, affinché le copie possano essere collocate nei luoghi di provenienza degli originali, restituendo a quegli stessi luoghi bellezza e senso storico.
Il «Caravaggio contemporaneo», cioè l’obiettivo artistico della mostra del Mart — da dove l’originale del Seppellimento tornerà a Siracusa il 4 dicembre, in tempo per la festa patronale del 13 —, è nel «dialogo» di Michelangelo Merisi con Alberto Burri e Pier Paolo Pasolini. Un dialogo che Sgarbi spiega così: «Nessuno come Caravaggio sente il male, la violenza, la malattia e la morte, la macerazione della carne». Nel Seppellimento c’è tutto questo — la gola tagliata della santa, il suo volto cereo e il suo corpo in balia della brutale azione dei seppellitori —, ma c’è anche altro, c’è lo sfondo, e cioè la parete rocciosa della grotta delle latomie siracusane, che lo stesso Caravaggio denominò «l’orecchio di Dioniso» e che toglie il centro della scena ai personaggi del dipinto. Quella parete rocciosa è la materia inerte protagonista delle opere di Burri, resa viva da una incisione rosso sangue tra due lastre di metallo, o dalla colata di cemento nota come Cretto di Gibellina — uno degli undici paesi della Valle del Belìce terremotati nel 1968 —, che si stende sulle macerie come un sudario, ma viene a sua volta sfregiato da una corolla di pale eoliche. Mentre santa Lucia è esattamente nella posizione in cui fotografarono Pier Paolo Pasolini quando lo ritrovarono cadavere al Lido di Ostia il 2 novembre 1975. I due corpi sono entrambi immagini di un martirio, ma quello di Pasolini è stato vilipeso anche dopo la morte, con tirapugni, catene, tondini di ferro e ripetuti schiacciamenti degli pneumatici di un’auto, troppo per poter chiudere il caso come un «semplice» delitto maturato nel mondo omosessuale.
Bellissime, a riguardo, le opere esposte di Nicola Verlato, una per tutte Ritrovamento del corpo di Pasolini, del 2020, in cui è chiaro un altro tema di questa mostra: la realtà che diventa sogno, il corpo che si fa arte. Come ne I naufraghi di Cagnaccio di San Pietro, olio su tela del 1934, in cui la morte è caravaggesca non solo per il gioco di luci e di ombre, ma anche perché è una messa in scena del dolore non meno del Seppellimento di santa Lucia e del Compianto sul Cristo morto di Giotto o di Niccolò dell’Arca. Per tutte queste ragioni, e altre che si scopriranno visitandola, in questa mostra non poteva non troneggiare Solo colore di Hermann Nitsch. Una grande macchia rossa. Il sangue degli innocenti.
Nel «Seppellimento di santa Lucia» c’è male, violenza, macerazione della carne