La resistenza (incoraggiante) dei romanzi
È bello sapere che in questi tempi difficili i libri se la passano meglio del previsto
Sull’ossessione della lettura si sono scritte e (temo) continueranno a scriversi un mucchio di banalità inani, retoriche e rivoltanti. Non bisogna mai dimenticare che i primi a diffidare di tale ossessione sono gli scrittori. Pensate a come se la devono essere spassata Cervantes, Flaubert e Stephen King nel farcire i loro eroi immortali (Don Chisciotte, Emma Bovary, Annie Wilkes) di idee sulla lettura tanto stupide, convenzionali, magniloquenti e patologiche da condurli alla follia autolesionista, e in un caso persino al sequestro di persona e al tentato omicidio.
Personalmente sono grato a Evelyn Waugh; sì, a lui, il grande romanziere inglese: dandy, viaggiatore, reazionario, snob, misantropo, alcolista, uomo di proverbiale intrattabilità e spregevolezza, e tuttavia o forse proprio per questo impareggiabile stilista. Gli sono grato per aver concepito uno dei racconti più geniali mai scritti sull’insana malia che colpisce sin dall’adolescenza noi poveri lettori compulsivi. Il racconto è infilato alla fine di Una manciata di polvere, per alcuni il suo romanzo migliore: quando Tony Last, il protagonista, un gentiluomo idealista afflitto da imbecillità cronica, decide di intraprendere un avventuroso viaggio di rinascita spirituale in Amazzonia. Povero Tony! Ne ha prese di batoste. Prima il figlio morto in un incidente di caccia, poi la scoperta dell’adulterio della moglie. Nella migliore tradizione, non gli resta che indossare i panni dell’esploratore e partire alla volta di chissà dove. Naturalmente la spedizione si rivela l’ennesima scelta idiota. In poche settimane va tutto a rotoli. Tony si ammala di malaria e perde il suo compagno di viaggio. A salvarlo ci pensa un tal Mr Todd: superbo incrocio tra il conradiano Kurtz e la psicopatica Annie Wilkes, insomma uno di quegli eroi assurdi che solo il genio satirico di Waugh avrebbe potuto partorire. Si dà il caso, infatti, che Mr Todd, sebbene abbia una passione per Dickens di cui possiede tutti i libri, sia anche irrimediabilmente analfabeta. Esatto, non sa leggere. Figlio di un’indiana e di un missionario delle Barbados (da cui ha ereditato una discreta biblioteca), Todd è anglofono ma non ha mai imparato a leggere e non si è mai mosso dalla sua catapecchia in una radura in mezzo a una foresta impenetrabile. Fino a poco tempo prima aveva un lettore personale: un nero di Georgetown che si guadagnava la pagnotta leggendo al suo padrone i romanzi di Dickens. Morto da un bel lustro, ha lasciato l’eccentrico Mr Todd orfano delle avventure di David Copperfield e di Oliver Twist. Per farla breve, quando Todd scopre che Last è pienamente alfabetizzato, consapevole che il gentiluomo non potrà mai lasciare quel luogo senza il suo aiuto, lo incarcera costringendolo a leggergli ogni maledetta sera e finché morte non li separi, lunghi brani dei grandi capolavori dickensiani. Be’, se non è questa una satira sublime contro la passione di leggere, allora non so proprio dove altro cercare. Non è mica detto come pensano alcuni che la lettura ci renda persone migliori.
È a Tony Last e al suo implacabile carceriere che pensavo l’altra sera quando, a cena con il mio generoso editore, ho appreso non senza soddisfazione che da qualche tempo il mercato librario, cronicamente afflitto da crisi di vendite e penurie finanziarie, sta attraversando una stagione se non prospera perlomeno incoraggiante.
C’è una ragione precisa per cui di rado frequento gli editori: come i rappresentanti di tessuti della mia infanzia, non fanno che divinare sventure. Ecco, vedere il mio editore garrulo e in forma offrirmi la cena con il sorriso sulle labbra mi ha così rinfrancato. Solo a casa ho pensato: porca miseria, ci voleva una quarantena per spingere la gente a leggere libri. Questo, ho concluso, non depone a favore della lettura. Forse quando la gente è felice o ha meglio da fare non legge. Forse la lettura è un ripiego luttuoso e solipsista. Certo la si può vedere anche altrimenti. Quando la vita diventa una cosa dannatamente seria allora ecco tornare in auge la cara vecchia introspezione. Comunque la si veda, pare proprio che la pandemia abbia agito su certe coscienze impressionabili come il perverso Mr Todd, costringendo alcuni tra noi a chiudersi in casa a leggere Dickens.
Eppure, al netto di questi cinismi un po’ snob ispirati da quel truce satanasso di Evelyn Waugh, e sebbene nutra per la pandemia in corso un odio irredimibile, è bello sapere che i libri (Cenerentole dalle suole sfondate) se la passino meno peggio del solito.
Ripenso a una ragazza con cui stavo ai tempi dell’università. L’avevo conosciuta a un tediosissimo corso di Filologia romanza e mi aveva incantato con la sua indipendenza di giudizio e la bellezza che ero certo di non meritare. Tra le molte eccentricità ce n’era una particolarmente irritante: quando usciva, persino per la spesa o la tintoria, portava sempre con sé un romanzo. Una sera che dovevamo andare a cena fuori con i soliti amici le chiesi perché diavolo avesse messo in borsa una copia gualcita delle Relazioni pericolose. A distanza di tanti anni, la sua risposta mi pare ancora di una saggezza irrefutabile. Sorrise imbarazzata e disse: «Non si sa mai». Già, non si sa mai. È questo il bello di un libro. Che è sempre lì, che non viene mai meno, che gli basta poco per iniettarti nelle vene olio bollente o gettare un po’ di luce sulle tenebre.