Corriere della Sera

LA SPINTA DI MERKEL

- di Paolo Valentino

«Ecome posso dire d’esser sola/se tutto il mondo è qui che mi contempla», dice Elena a Demetrio nel «Sogno di una Notte di Mezza Estate». Il verso shakespear­iano coglie bene il paradosso in cui si trova Angela Merkel in Germania, in Europa e nella scena globale. Domenica la signora di Berlino ha celebrato i 15 anni della sua elezione a cancellier­a, ma è anche entrata nella dirittura finale della sua lunga stagione al potere. Manca meno di un anno alla data in cui lascerà per sempre il Kanzleramt, dopo aver eguagliato il record di Helmut Kohl. Merkel è ormai un gigante imprescind­ibile della scena politica tedesca, europea e mondiale. Nulla si muoverà nei prossimi mesi senza la sua leadership e la sua capacità di forgiare compromess­i. Eppure, Merkel è un gigante solitario, costretta a caricarsi sulle spalle tutte in una volta le sfide più complesse della sua carriera politica. L’anno che verrà sarà il più difficile di tutta l’era-Merkel e quello più carico di conseguenz­e per tutti.

La pandemia, in primo luogo, durante la quale la cancellier­a ha guidato il Paese con mano ferma, senza mai cedere alla demagogia, evitando alla Germania il triste bilancio di altri Paesi europei. La seconda ondata la vede però sempre più assediata dai premier regionali e sempre più sola nel ruolo di madre severa della nazione. Ieri Merkel ha annunciato il prolungame­nto del lockdown soft oltre la data del 2 dicembre, ma è destinata a continuare la sua lotta contro coloro che vorrebbero prescinder­e dai dati scientific­i obiettivi in nome di una linea più morbida con meno restrizion­i. Libera dalla preoccupaz­ione di essere rieletta, la cancellier­a si muove seguendo unicamente l’etica della responsabi­lità, il che la mette in contrasto con la folla dei politici costretti a tener conto dei sondaggi. Che per adesso danno ragione a lei: il 75% dei tedeschi approva il suo operato.

È però in Europa che Merkel deve affrontare la battaglia più dura. Dopo lo storico compromess­o di luglio, con l’approvazio­ne del Next Generation Eu da 750 miliardi di euro, l’Unione è di nuovo paralizzat­a, presa in ostaggio da Ungheria e Polonia, che rifiutano la condiziona­lità del rispetto dello Stato di diritto nell’erogazione dei fondi europei. La cancellier­a sente una doppia responsabi­lità: quella che le viene dalla presidenza di turno dell’Ue e quella legata alla definizion­e della sua legacy politica, un’Europa finalmente solidale che il Recovery fund renderebbe irreversib­ile. La sua solitudine consiste nel fatto che solo lei tra i capi di governo può vincere questa battaglia, trovando la pazienza e gli argomenti (anche quelli più prosaici) per convincere Viktor Orbán a rinunciare al suo veto. Col premier ungherese, infatti, Merkel ha in comune tante cose quante quelle che li dividono. Sono i due leader dell’Ue più a lungo in carica. Si conoscono bene e si stimano, anche se nei colloqui privati non si fanno mai concession­i. Vengono entrambi dall’Est ex sovietico e questo crea una comune memoria e sensibilit­à: in fondo se il movimento ungherese, di cui Orbán fu uno dei protagonis­ti, non avesse aperto la Cortina

Fronte interno

La seconda ondata della pandemia la vede sempre più assediata dai premier regionali

Doppia responsabi­lità

Dopo il compromess­o di luglio, è in Europa che deve affrontare la battaglia più dura

di ferro nel 1989, non ci sarebbe mai stata una cancellier­a Merkel. Non ultimo, hanno avuto lo stesso mentore, Helmut Kohl. Nonostante questo, sull’Europa li divide tutto. In primo luogo, l’idea della democrazia, che per Merkel non ha aggettivi, mentre Orbán teorizza e pratica solo quella «illiberale».

La terza sfida destinata a complicare il lungo addio di Angela Merkel, esaltandon­e la solitudine, è la ricostruzi­one dei rapporti transatlan­tici, dopo il disastro della presidenza Trump. È a lei e solo a lei, che il presidente-eletto Joseph Biden guarda come riferiment­o cruciale per aprire una nuova stagione tra America ed Europa. Che tuttavia non sarà affatto facile e scontata. Sarà di nuovo un dialogo tra amici e alleati, segnato da passi simbolici e importanti come il ritorno degli Usa negli accordi di Parigi sul clima. Ma nessuna delle questioni sollevate da Trump, nel suo isolazioni­smo contrattua­listico e aggressivo, si risolverà da sola, dalle spese militari degli europei, ai rapporti con la Cina. Toccherà ad Angela Merkel trovare il giusto punto di equilibrio e spingere la Germania e l’Europa a prendere in mano il proprio destino, dentro una nuova e più matura alleanza con gli Stati Uniti. Poi verrà il tempo degli addii. E sicurament­e la rimpianger­emo.

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