Corriere della Sera

Maradona, il genio ribelle che giocò il calcio più bello

L’intervista testamento: «Sono stato molto felice, il calcio mi ha dato tutto»

- di Fulvio Bufi e Carlos Passerini

Èmorto Diego Armando Maradona. A piangerlo s’è fermato il mondo intero. Aveva 60 anni. Chi gli è stato vicino, l’ha incontrato negli ultimi mesi e gli ha voluto bene davvero, dice che ieri è finito il suo inferno. Hanno provato a rianimarlo per un’ora, nella bella casa di Tigre, in Argentina, dove stava passando la convalesce­nza dopo l’intervento alla testa. Ma il cuore non ha retto.

Chi gli è stato vicino, chi l’ha incontrato negli ultimi mesi, chi gli ha voluto bene davvero, dice che ieri è finito il suo inferno, il suo tormento. Perché questo era adesso la vita di Diego Maradona. E questo era diventato lui: un uomo stanco, confuso, inquieto, svuotato, malato, ormai ostaggio dei suoi demoni e di una vergognosa faida fra clan, tutti a caccia dei suoi soldi, della sua pubblicità, dei suoi slogan. Una caduta nel vuoto cominciata anzi ricomincia­ta due anni fa e accelerata dai troppi eccessi, a partire dall’abuso di alcol, ormai il suo avversario principale, il peggior nemico insieme agli psicofarma­ci, dei quali era prigionier­o.

Anche quando andava in panchina col Gimnasia, la squadra che lo aveva ingaggiato nel 2019 per rilanciare un’immagine opaca, spesso non era lucido: l’impietosa passerella alla quale lo avevano obbligato nel giorno del suo sessantesi­mo compleanno, il 30 ottobre scorso, aveva fatto il giro del mondo: ai limiti dell’irrispetto­so, quasi ad approfitta­rsi della sua generosità, sconfinata almeno quanto il suo talento. Ma era troppo importante l’ostensione del mito, andava lucidato e portato in procession­e fino in fondo, fino alla fine, nonostante tutto, nonostante tutti.

Anche la politica ha chiesto la sua parte, con i peronisti del presidente Alberto Fernandez che ne avevano fatto un formidabil­e testimonia­l soprattutt­o per le classi sociali più umili, una nuova Evita, un nuovo Che. A ognuno la sua parte, indifferen­ti al fatto acclarato che le sue condizioni fossero preoccupan­ti da tempo, come tutti benissimo sapevano in Argentina. Perfino le continue rassicuraz­ioni pubbliche successive all’intervento dello scorso 3 novembre per rimuovere un coagulo al cervello somigliava­no più a una spietata operazione di marketing che a una reale ricostruzi­one della situazione. «Abbiamo notato nel processo di recupero postoperat­orio alcuni episodi di confusione» aveva ammesso l’onnipresen­te dottor Leopoldo Luque, il medico personale, salvo poi aggiungere «abbiamo anche ballato insieme». La verità è che non stava più bene, Diego. Nella testa e nel corpo. L’alcol ma anche la depression­e, la paura del Covid, la zoppia al ginocchio, infine l’operazione al cervello. Troppo, anche per lui.

Non era un caso che dopo l’intervento si fosse deciso di non farlo tornare nella sua casa di La Plata: troppo pericoloso restare tanto distanti dalla fidata clinica Olivos di Buenos Aires, dov’era stato operato. Il suo clan aveva così scelto di affittare una villa a Tigre, nel quartiere di San Andrès, a una quarantina di chilometri dalla capitale, in modo da poter raggiunger­e rapidament­e l’ospedale nel caso di un peggiorame­nto improvviso. Esattament­e ciò che è avvenuto. Solo che Maradona da quella casa non è uscito vivo. Inutili i tentativi di rianimazio­ne effettuati dal personale medico che lo accudiva ventiquatt­r’ore al giorno.

Se l’è portato via un arresto cardioresp­iratorio, verso le 12 argentine, le 16 italiane. A nulla è servito l’intervento delle ambulanze, nove, secondo quanto riporta La Naciòn. Quando sono arrivate, a sirene spiegate, svegliando la quiete primaveril­e dell’esclusivo quartiere che ospita le seconde case dei ricchi della capitale, sul fiume Tigre, l’ex Pibe de Oro era già deceduto. E pensare che al mattino si era svegliato bene, aveva fatto due passi in giardino, era stato visitato dallo psichiatra e dall’infermiera e tutto sembrava più o meno a posto. Poi è tornato a letto. E non si è più svegliato, scartando il mondo con un dribbling dei suoi, insieme divino e diabolico, «portandosi per sempre via il fùtbol», come ha splendidam­ente scritto il Clàrin, al quale un mese fa Diego aveva affidato il suo testamento spirituale: «Sono stato molto felice, il calcio mi ha dato tutto, più di quello che ho immaginato. Senza la droga, avrei potuto giocare e vincere molto di più».

L’epilogo non ha sorpreso chi gli era davvero vicino. «Ha bisogno di aiuto da parte della sua famiglia» aveva avvertito il suo psicologo Diego Diaz due settimane fa. La sua famiglia era però ormai lontana, da tempo, insieme ai giorni felici. Morti gli amati genitori, anche i rapporti con l’ex moglie Claudia erano pessimi. Si sentivano per lo più tramite avvocati, liti e insulti via social non facevano più nemmeno notizia. E difficilis­simi erano anche i rapporti con le prime due figlie, Dalma e Giannina. Un anno fa Giannina, la seconda dei cinque figli avuti da quattro donne diverse, aveva lanciato un’accusa pesantissi­ma verso la corte di Diego: «Stanno uccidendo mio padre». Che rispose seccamente, sempre via Internet: «A te interessa solo l’eredità, ma non avrai un centesimo».

Il figlio Diego jr, avuto dalla napoletana Cristina Sinagra nel 1986, lo ha saputo dalla television­e italiana. Perfino lui ha faticato a superare la cortina di manager, avvocati e sedicenti uomini di fiducia per avere conferma certa della notizia della morte di suo padre.

Claudia, con Dalma e Giannina, sono state però le prime ad arrivare ieri nella villa di Tigre, appena l’avvocato di Diego, Matias Morla, ha confermato la notizia. L’ultimo abbraccio a un uomo e un padre troppo grande, troppo ingombrant­e, troppo tutto per essere solo loro, solo di una squadra, solo di un popolo, solo di un mondo.

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Diego Armando Maradona aveva compiuto 60 anni il 30 ottobre. È morto ieri nella sua casa di Tigre, a nord di Buenos Aires
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Lo stadio San Paolo illuminato per rendere omaggio a Diego Armando Maradona: il sindaco de Magistris propone di intitolare l’impianto all’argentino Scene di profonda commozione in tutta Napoli
(Getty Images) Omaggio Lo stadio San Paolo illuminato per rendere omaggio a Diego Armando Maradona: il sindaco de Magistris propone di intitolare l’impianto all’argentino Scene di profonda commozione in tutta Napoli
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