Le magie, il dolore
Un giocatore onirico e circense. Come il suo vivere.
L’Argentina è un Paese fragile e pugnalato, con un grande orgoglio e una struggente malinconia. È piena di fantasmi e di sogni. È la terra di Borges, di Cortazar, di Bioy Casares, di Osvaldo Soriano, di Ernesto Sabato. Il realismo magico era il modo di dare forma a quest’anima sospesa tra la realtà spesso brutale e il bisogno della immaginazione. Maradona era un personaggio del realismo magico. Quello che faceva, con la testa e con i piedi, era impossibile. Ma era reale. Nel suo modo di giocare al pallone c’era non solo un estro magistrale ma l’orgoglio di un popolo, la totale libertà della creazione, il talento indisciplinato dei geni. Maradona faceva con il pallone quello che Fellini faceva con le immagini. Il suo modo di giocare al calcio era onirico e circense. Come il suo modo di vivere. Diego era insieme creazione e autodistruzione. Viveva seguendo il filo di una sua filosofia di vita nella quale il limite, in nulla, era concepibile, praticabile o rispettabile. Era bizzoso come un bambino capriccioso e sapiente come un poeta cieco. Era un festival di contraddizioni e questo lo rese, da subito, una leggenda vivente. Quella leggenda ha fatto innamorare Napoli che in quel modo di interpretare calcio e vita si riconosceva pienamente. Portava con sé la luce del mito che non lo ha mai lasciato. Anche quando andò ad allenare una squadra di serie B in Messico. È sempre stato eccessivo e questo, solo questo, lo ha reso Maradona. Ma ciascuno ha sempre scorto nei suoi eccessi la verità di un misto di talento immenso e di dolore infinito. È stato uno dei più grandi calciatori della storia e un uomo fragile e libero. Non ha mai avuto paura di dire come la pensava, che parlasse di politica o dei poteri nel calcio. Ha vissuto andando sempre alla massima velocità e ha sbattuto molte volte. Maradona una volta, intervistato da quel genio del giornalismo pop che è stato il suo amico Gianni Minà, confessò: «L’ ho detto tante volte: non sono un santo, ma chi lo è… Mi hanno fatto passare come il cattivo del film e questo non l’ho accettato mai anche perché non ho rubato a nessuno, non ho fatto male a nessuno. Se ho fatto male, l’ho fatto a me stesso. Gianni, quando noi andiamo in campo proviamo un’allegria immensa. È difficile dirlo con parole, però il desiderio del giocatore di calcio, e io ho visto tanti giocatori, è poter dare allegria alla gente. Io avevo la grinta della fame, è vero. Dopo, quando è passata la fame, avevo la grinta della gloria. Oggi voglio avere la grinta per la vita».