Corriere della Sera

Quelle follie da ct

- di Aldo Cazzullo

L e follie di Maradona ct: «Giornalist­i, non vi sparerò più».

L’Argentina che arrivò nel 2010 al Mondiale sudafrican­o era fortissima: Messi, Aguero, Tevez, Milito, Di Maria, Higuain giovane. Tra l’Albicelest­e e la vittoria c’era un solo ostacolo: il ct più pazzo del mondo; Diego Armando Maradona. Al primo allenament­o, all’inizio delle qualificaz­ioni, tenne ai ragazzi un discorso sobrio: «Avete di fronte un uomo tornato dall’inferno. Io ho dimostrato che nella vita tutto è possibile».

Poi li portò a giocare ai 3 mila metri di La Paz direttamen­te dal livello del mare: 6 a 1 per la Bolivia. Per un’amichevole con la Giamaica arrivò a convocare cinque infortunat­i. In due anni chiamò un centinaio di calciatori. Allenament­i sempre il pomeriggio e la sera; la mattina dormiva. Il padre di Messi si lamentò: «Mio figlio non riceve istruzioni tattiche; Diego gli dice solo di giocare bene e fare gol». Allarmato, il presidente federale Grondona gli affiancò Bilardo, il ct campione nell’86, che con Maradona aveva sempre avuto un buon rapporto. Litigarono subito. Risse seguite da pubbliche riconcilia­zioni: ogni volta Diego piangeva. Mise sotto un cameraman con la macchina. Trovò il tempo di aprire una scuola di calcio in India, dove fu accolto come un santone. Era sempre a dieta, infatti da allenatore finì in ospedale una volta sola, non per la cocaina o l’alcol ma per il morso del cane della fidanzata Veronica. Promise solennemen­te di non sparare più ai giornalist­i, come aveva fatto nel 1994 fuori dalla casa di campagna (4 feriti). Però dopo la qualificaz­ione in Uruguay invitò i suoi critici a praticargl­i un rapporto orale – «Que la chupen!» –: due mesi di squalifica. Le temute figlie gli tenevano ogni mattina una rassegna stampa, con l’ordine di segnalargl­i gli irriducibi­li da sistemare. Appena arrivato nel ritiro mondiale fece rifare i bagni delle stanze; per sé pretese il bidet a tre velocità con spruzzi modulati, e gelati al pistacchio alle 4 del mattino. In conferenza stampa arrivava vestito da prima comunione cravatta chiara e giacca grigia chiusa a stento sulla pancia abnorme -, ma con il barbone bianco e tre orecchini da corsaro. Dopo i gol invadeva il campo per abbracciar­e i calciatori. Nei quarti contro la Germania schierò tutti i suoi attaccanti, con Messi a centrocamp­o; i tedeschi fecero 4 gol (a 0) in contropied­e. Resta però un’Argentina indimentic­abile. La differenza di carisma tra l’allenatore e il suo asso si toccava con mano: il vero numero 10 era lui, Maradona. Alla fine dell’allenament­o il maestro prendeva da parte l’allievo: «Leo, adesso ti insegno come si battono le punizioni». Fatto sta che da allora Messi ne sbaglia pochissime.

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