Corriere della Sera

«Era puro istinto Sempre pronto ad aiutare la squadra»

Massimo Mauro giocò con lui nel Napoli dello scudetto del ‘90 «Capii la sua grandezza quando gli cedetti la maglia numero 10»

- Paolo Tomaselli

«Diego è stato come un grande artista, come un musicista o un pittore: perché lui faceva arte e quindi adesso sarà accanto a Mozart e Van Gogh, a gente di questo livello. Geni assoluti, rimasti immortali per le loro opere, che continuano ad essere attualissi­me. Perché sono capaci di parlare a tutti».

Massimo Mauro ha giocato all’Udinese con Zico, alla Juventus con Platini e al Napoli con Maradona, vincendo il secondo scudetto, quello del 1990, e poi la Supercoppa italiana. Soprattutt­o, ha giocato, appena arrivato a Napoli, con la maglia numero 10 sulle spalle. E cosa significav­a?

«Ho capito che quella maglia non appartenev­a a un uomo, ma andava ben oltre: in quei due mesi, nei quali Diego non arrivava e io ho giocato cinque partite, ero il ragazzo più aiutato e spronato di Napoli. E intendo la città, non solo la squadra: capivano la

pesantezza di quel numero sulle spalle. Io per la verità ero un po’ scanzonato e l’ho realizzato in seguito cosa fosse davvero Diego per Napoli».

Cos’era?

«È l’unica persona che non è nata lì eppure si può dire figlio di Napoli per tutto quello che ha vissuto. Infatti i napoletani lo piangono come San Gennaro. Era un uomo talmente generoso e disponibil­e, nel bene e nel male. Questo lo ha messo di fronte a tante situazioni difficili, ma è stata la sua vita e voglio ricordarlo solo per le cose belle».

Come andò a finire con quella maglia numero 10?

«Che Maradona entrò in campo al mio posto contro la Fiorentina, mentre perdevamo 2-0. Abbiamo vinto 3-2».

A volte compagni e soprattutt­o avversari avevano la sensazione che lui facesse un mestiere diverso?

«In realtà Diego aveva la semplicità dei grandissim­i e se eri in difficoltà ti aiutava sempre. Se pensi a un suo gol, pensi a quello mitico contro gli inglesi al Mondiale messicano. Ma lui era concreto anche in tutte le altre cose che servivano alla squadra per vincere le partite: non solo i

gol, quindi, ma la personalit­à, la capacità di starti vicino nei momenti più difficili. E soprattutt­o di essere decisivo nelle partite più importanti, che poi è la caratteris­tica dei fuoriclass­e».

Il calcio a un certo punto lo ha scaricato?

«È così. Quando uno muore arriva sempre il tributo da parte di tutti e il riconoscim­ento della sua grandezza. Ma in alcuni momenti Diego andava ascoltato molto di più, penso ad esempio quando si scagliava contro la Fifa, i suoi interessi economici, i suoi Mondiali giocati in posti e in orari assurdi. Quel lato di Maradona meritava sicurament­e più attenzione e più rispetto. Ma anche questo fa parte del suo modo di essere».

In che senso?

«Il bello di Diego è che lui era tutto istinto. Era una persona che pensava di poter fare tutto, ma mai arrecando danno agli altri».

Ha fatto male a se stesso.

«Si è autodistru­tto, non è riuscito a gestire le sue situazioni personali».

Maradona amava ripetere un suo rimpianto: «Pensa cosa sarei stato senza la cocaina».

«Anche dire così fa parte di Diego e del suo essere puro istinto. Lui era bellissimo proprio per questo motivo».

Cosa aveva più di Zico, Platini e degli altri grandi campioni?

«Nel più bravo di tutti ti aspetti sempre un po’ di presunzion­e. In lui non c’era. Poteva trovarsi di fronte a un intellettu­ale o a un operaio, ma Diego si metteva sempre al livello degli altri, per potere stare assieme a loro. E poi era impression­ante sul campo».

Non solo tecnica, giusto?

«Proprio così, perché lui aveva doti atletiche incredibil­i. Non lo buttavi giù in nessun modo. Nel calcio di oggi farebbe espellere tre difensori a partita. Anche allora lo menavano di brutto, ma lui non cadeva mai, con quel baricentro basso e quelle gambe».

Anche per questo è stato il più grande di tutti i tempi?

«Sì. Sarebbe stato il numero uno nell’era di Pelé, ma anche oggi. Perché non è vero che nella nostra epoca si giocava piano. E comunque Diego sarebbe Diego, anche oggi. Perché uno come lui è per sempre».

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(foto di Sergio Siano) L’esultanza Un’immagine di Maradona al Napoli
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Maradona festeggia con i tifosi lo scudetto vinto dal Napoli nel ‘90, il secondo dopo quello dell’87. «Diego avrebbe dovuto essere ascoltato di più anche fuori dal campo - dice Mauro -. Come quando si scagliava contro la Fifa e i suoi interessi economici»
L’anno felice Maradona festeggia con i tifosi lo scudetto vinto dal Napoli nel ‘90, il secondo dopo quello dell’87. «Diego avrebbe dovuto essere ascoltato di più anche fuori dal campo - dice Mauro -. Come quando si scagliava contro la Fifa e i suoi interessi economici»
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Compagno e amico Massimo Mauro (1962): arrivò al Napoli nell’89 dalla Juventus

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