Il super ambasciatore amico «francese» di Blinken «Il primo test sarà l’Iran»
Araud: «Le tensioni con l’Europa non scompariranno»
«Il primo test per la nuova amministrazione e per mio amico segretario di Stato, Antony Blinken, sarà l’Iran. Vedremo se e a quali condizioni Washington cercherà di rinegoziare l’accordo sul nucleare rinnegato da Trump e poi anche da Teheran». Gérard Araud parla al Corriere in video dalla sua casa di New York, dove vive dopo avere lasciato l’anno scorso, a 66 anni, il Quai d’Orsay. Araud è stato il più brillante degli ambasciatori francesi — in Israele, al Palazzo di vetro dell’Onu e poi a Washington a partire dal 2014 —, un grande diplomatico che anche in carica non rinunciava a esprimersi su Twitter.
Che cosa pensa della nomina di Blinken e della sua formazione francese (il nuovo segretario di Stato è andato a scuola a Parigi, ndr)?
«Quando ero a Washington ci vedevamo molto spesso. A Parigi era compagno, al liceo internazionale Jeannine Manuel, di Robert Malley, che ha fatto parte dell’amministrazione Obama e ora è a capo del think tank International Crisis Group. Credo che quell’esperienza gli abbia dato la capacità che abbiamo talvolta noi ambasciatori, cioè capire come il nostro Paese è visto all’estero. Parla un francese perfetto, pur restando un americano al 100 per cento».
Come valuta le scelte di Joe Biden per la sua amministrazione?
«Sono nomine di un grande classicismo. Blinken, nel circuito da trent’anni, al dipartimento di Stato; John Kerry su una questione cruciale come il clima; il giovane Jake Sullivan consigliere per la Sicurezza
nazionale dopo essere stato il negoziatore di Obama sul nucleare iraniano. Questo è l’establishment. Quindi, nel metodo, un ritorno alla normalità delle relazioni internazionali, alla diplomazia classica. Ma poi c’è il fondo delle cose, quel che vorranno fare, e non lo sappiamo ancora perché il programma di Biden era più che altro battere Trump. La questione interessante poi è il rapporto con la sinistra del partito democratico».
Pensa che la sinistra del partito potrà condizionare la politica estera di Blinken e Biden?
«È uno degli aspetti da considerare. Se la sinistra non si fosse divisa tra Warren e Sanders avrebbe vinto le primarie, hanno un peso nel partito molto forte e sono fautori di una linea neo-isolazionista, tanto che criticano pure le sanzioni al Venezuela. Per adesso non è chiaro se quella di Biden sarà una presidenza di transizione, o se tenterà qualcosa di nuovo in politica estera. Credo comunque che
al di là del metodo non si possa tornare totalmente al passato, non torneremo all’epoca dell’America leader del mondo libero».
I rapporti con l’Europa?
«Stati Uniti e Europa sono in rotta di collisione su un certo numero di dossier, per esempio sul commercio, con le sanzioni tra Boeing e Airbus. E i democratici non sono certo dei freetrader, dei sostenitori del libero mercato. Poi c’è la questione della tassazione europea dei GAFA, le grandi aziende delle nuove tecnologie, che sono i grandi sponsor del partito democratico al potere. Gli europei farebbero un errore a pensare che questi temi di fondo possano sparire con l’addio di Trump e l’avvento di Biden. Ma almeno sarà più facile parlarsi, questo è sicuro».
Che cosa pensa delle ambizioni di Macron sulla Difesa europea, e delle sue critiche alla ministra tedesca Annegret Kramp-Karrenbauer nel’intervista del «Grand Continent» che il «Corriere» ha pubblicato?
«Macron parla troppo, ama ascoltarsi parlare, è talmente narciso da diventare maldestro. Un’uscita sbagliata, perché lui è isolato e la posizione che raccoglie più consensi è quella di AKK, la ministra tedesca, legata al rapporto tradizionale con gli Usa. Se si vuole fare avanzare la Difesa europea, e non spaventare polacchi e baltici che preferiranno sempre farsi difendere dall’America piuttosto che da Francia e Italia, il modo migliore è non parlarne».
Parla troppo, è narciso Se vuole far avanzare la difesa europea, il miglior modo è tacere