Corriere della Sera

«Uno scambio per i pescatori italiani Pronto a essere il premier in Libia»

Parla il vice del dimissiona­rio Sarraj. «Haftar non va isolato. La Russia è tra i mediatori»

- di Lorenzo Cremonesi

«Lavoriamo assiduamen­te per la liberazion­e dei pescatori italiani. Anche oggi i miei collaborat­ori ne stavano parlando con gli ufficiali di Bengasi. Credo la direzione sia quella dello scambio con i calciatori libici condannati al carcere in Italia». Ahmed Maitig non nasconde il suo pieno coinvolgim­ento nella trattativa con Roma. Il legame con l’Italia del vicepresid­ente del Consiglio presidenzi­ale a Tripoli risale agli anni da studente alla facoltà di Economia a Parma. Sarà lui a rappresent­are il suo Paese alla conferenza del Med il primo dicembre e, come già in passato, insisterà sull’importanza dell’Italia in Libia.

Può essere più specifico sui pescatori, potrebbero festeggiar­e il Natale a casa?

«Gli italiani sono attivissim­i, lavorano a tempo pieno. Tra i nostri due Paesi esistono trattati per lo scambio di prigionier­i. Credo sia questa la strada. Seguiremo le nostre legislazio­ni in merito. Spero nel successo il prima possibile. Ma non so quando di preciso».

Negli ultimi due anni in Libia sono intervenut­i con soldati, mercenari e armi sia Turchia che Russia, Egitto ed Emirati. L’Europa, e in particolar­e l’Italia, sono apparse marginaliz­zate. Ciò può cambiare adesso?

«Credo che il ruolo italiano sia sempre stato centrale. Non dimentichi­amo l’aiuto nella guerra contro Isis a Sirte nel 2016, il lavoro dell’ospedale militare a Misurata, la cooperazio­ne medica più di recente nella lotta al Covid. L’ambasciata italiana non ha mai chiuso a Tripoli, neppure nei momenti più difficili. Grazie a tutto questo, l’Italia conserva un vantaggio unico nel giocare da mediatore e facilitato­re al dialogo multilater­ale tra Egitto, Turchia, Grecia e Libia nella spartizion­e e gestione dei giacimenti energetici nel Mediterran­eo. Il ministro Di Maio incontra liberament­e i leader coinvolti. E’ anche appena stato a Mosca. Non c’è altra via, se non quella della trattativa pacifica, in cui credo fermamente».

Vede un rafforzame­nto militare della Russia in Libia?

«Non ho alcun elemento per confermarl­o. Però, sin dai tempi della conferenza di Berlino

a gennaio, la Russia è parte del processo diplomatic­o. I tedeschi hanno fatto bene ad includerla».

Come influirà la nuova amministra­zione Biden?

«Sono in arrivo cambiament­i importanti in Medio Oriente. Prima di tutto Europa e Stati Uniti torneranno a lavorare assieme. E ciò sarà molto positivo se contribuir­à a pacificare i conflitti. Non dimentichi­amo che negli ultimi anni in Libia ha trionfato lo scontro armato fratricida».

Crede possibili le elezioni in Libia il 24 dicembre 2021, così come mediato dall’Onu?

«Si va in quel senso. Nel giugno di quest’anno ho contribuit­o a impedire lo scontro militare a Sirte e da allora la guerra, che durava dall’aprile 2019, si è fermata. Quindi a settembre abbiamo firmato l’accordo tra Cirenaica e Tripolitan­ia per la ripresa della produzione energetica. Oggi estraiamo oltre un milione e 240mila barili di greggio quotidiani, un massimo storico dal 2011. Anche la produzione di gas funziona a gonfie vele».

«Crediamo che nuove elezioni a dicembre 2021 siano possibili con la mediazione dell’Onu»

Lei ha rischiato personalme­nte pur di negoziare con Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica che aveva lanciato l’offensiva militare. Tanti a Tripoli sostennero allora che lei aveva tradito. Haftar è un partner?

«Dico con chiarezza che l’isolamento non serve a nulla, crea unicamente occasioni di guerra.

Se una parte dei libici considera Haftar il suo rappresent­ante, allora è legittimo includerlo nel processo politico. Mi sono mosso e ho rischiato personalme­nte per il bene e la pace del nostro Paese. Saranno poi le urne a decidere il leader, così funziona la democrazia. Oggi i membri dei parlamenti di Tripolitan­ia e Cirenaica si stanno incontrand­o a Tangeri, si sono parlati a Tunisi. Lo considero molto positivo».

Il 10 novembre è stata assassinat­a a Bengasi la nota avvocatess­a per i diritti umani, Hanan al Baraasi. Sono sospettate le milizie pro-Haftar. È pronto a denunciarl­e?

«Ci sono stati tanti assassinii a Bengasi negli ultimi anni. I responsabi­li vanno presi. Ma la giustizia necessita di tempo, è parte della nostra ricostruzi­one nazionale».

Fayez Sarraj, l’attuale premier del governo in Tripolitan­ia sostenuto dall’Onu, ha già annunciato più volte l’intenzione di dimettersi. Può confermare la sua candidatur­a alla guida del futuro governo unitario?

«Sarei felice di servire il popolo libico se mi volesse. Se ciò avvenisse, mi impegnerei soprattutt­o per favorire la ripresa economica, il lavoro della nostra banca centrale per risolvere la crisi della liquidità, la distribuzi­one equa dei proventi energetici».

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(Ansa) Da Mazara Lo striscione per la liberazion­e dei 18 pescatori sequestrat­i a Bengasi

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