Brexit, l’accordo sembra vicino (salsicce permettendo)
L’ultimo ostacolo è una salsiccia. Con i negoziati sulla fase 2 della Brexit in dirittura d’arrivo, lo spettro di una «guerra del würstel» si è messo di mezzo fra Londra e Bruxelles: gli europei non sembrano disposti a concedere il lasciapassare all’importazione di salsicce e hamburger britannici, a meno che non si adeguino agli stringenti standard comunitari. Uno stallo che mette a rischio decine di milioni di sterline di prodotti made in Uk: e dunque i britannici minacciano per rappresaglia di mettere al bando dai loro supermercati i würstel tedeschi (ma anche le soppressate italiane).
Salsicce a parte, questi sono i giorni decisivi per la conclusione di un accordo commerciale fra Ue e Gran Bretagna, che dovrà regolare i rapporti reciproci dopo la fine dell’attuale periodo di transizione, il 31 dicembre. I segnali di ottimismo si moltiplicano: gli europei dicono che l’accordo è fatto «al 95 per cento» e ieri la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha esortato a trovare soluzioni «creative» per raggiungere un’intesa.
Ma il diavolo, come sempre, si annida nei dettagli. Che in questo caso non sono di poco conto: anzi, sono gli stessi attorno ai quali si sta girando in tondo da quasi un anno. In primo luogo, c’è la pesca: Londra non vuole dare più libero accesso ai pescherecci europei nelle proprie acque territoriali, rivendicando la piena sovranità. Una questione risibile dal punto di vista economico (appena lo 0,1 per cento del Pil), ma che ha assunto una valenza politica totemica. E poi gli aiuti di Stato, sui quali i britannici vogliono avere mano libera per incentivare i propri campioni tecnologici.
Al fondo, c’è una distanza «filosofica»: Londra punta alla divergenza dalle direttive europee (altrimenti, che senso avrebbe la Brexit?), mentre Bruxelles vuole tenere i britannici nell’orbita regolativa della Ue. Trovare la quadra dunque non è facile, anche perché il tempo stringe: senza un accordo nei prossimi giorni, non ci sarebbe il tempo per le ratifiche entro la fine di dicembre.
Dunque il no deal, un divorzio senza intese, resta possibile. Se non altro perché ormai un accordo sarebbe su un testo ridotto all’osso che non impedirebbe il ritorno delle dogane, con ripercussioni negative sui commerci. Allora a Londra potrebbero calcolare che politicamente tanto vale andare al no deal e addossare a Bruxelles la colpa dei disagi successivi: infatti l’ala dura dei conservatori euroscettici sta già affilando i coltelli, pronti a pugnalare Boris Johnson se dovesse sottoscrivere un accordo che apparisse ai loro occhi come una svendita della sovranità britannica.
In gioco non c’è solo la Brexit, ma la stessa premiership di Johnson. Cosa lui stia pensando, nessuno lo sa: e a Londra dicono che forse non lo sa nemmeno lui (qualcuno suggerisce di chiedere a Carrie, la sua fidanzata). L’accordo resta a ora lo scenario giudicato più probabile: ma non a qualsiasi prezzo.