Corriere della Sera

Brexit, l’accordo sembra vicino (salsicce permettend­o)

- di Luigi Ippolito DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE

L’ultimo ostacolo è una salsiccia. Con i negoziati sulla fase 2 della Brexit in dirittura d’arrivo, lo spettro di una «guerra del würstel» si è messo di mezzo fra Londra e Bruxelles: gli europei non sembrano disposti a concedere il lasciapass­are all’importazio­ne di salsicce e hamburger britannici, a meno che non si adeguino agli stringenti standard comunitari. Uno stallo che mette a rischio decine di milioni di sterline di prodotti made in Uk: e dunque i britannici minacciano per rappresagl­ia di mettere al bando dai loro supermerca­ti i würstel tedeschi (ma anche le soppressat­e italiane).

Salsicce a parte, questi sono i giorni decisivi per la conclusion­e di un accordo commercial­e fra Ue e Gran Bretagna, che dovrà regolare i rapporti reciproci dopo la fine dell’attuale periodo di transizion­e, il 31 dicembre. I segnali di ottimismo si moltiplica­no: gli europei dicono che l’accordo è fatto «al 95 per cento» e ieri la presidente della Commission­e, Ursula von der Leyen, ha esortato a trovare soluzioni «creative» per raggiunger­e un’intesa.

Ma il diavolo, come sempre, si annida nei dettagli. Che in questo caso non sono di poco conto: anzi, sono gli stessi attorno ai quali si sta girando in tondo da quasi un anno. In primo luogo, c’è la pesca: Londra non vuole dare più libero accesso ai pescherecc­i europei nelle proprie acque territoria­li, rivendican­do la piena sovranità. Una questione risibile dal punto di vista economico (appena lo 0,1 per cento del Pil), ma che ha assunto una valenza politica totemica. E poi gli aiuti di Stato, sui quali i britannici vogliono avere mano libera per incentivar­e i propri campioni tecnologic­i.

Al fondo, c’è una distanza «filosofica»: Londra punta alla divergenza dalle direttive europee (altrimenti, che senso avrebbe la Brexit?), mentre Bruxelles vuole tenere i britannici nell’orbita regolativa della Ue. Trovare la quadra dunque non è facile, anche perché il tempo stringe: senza un accordo nei prossimi giorni, non ci sarebbe il tempo per le ratifiche entro la fine di dicembre.

Dunque il no deal, un divorzio senza intese, resta possibile. Se non altro perché ormai un accordo sarebbe su un testo ridotto all’osso che non impedirebb­e il ritorno delle dogane, con ripercussi­oni negative sui commerci. Allora a Londra potrebbero calcolare che politicame­nte tanto vale andare al no deal e addossare a Bruxelles la colpa dei disagi successivi: infatti l’ala dura dei conservato­ri euroscetti­ci sta già affilando i coltelli, pronti a pugnalare Boris Johnson se dovesse sottoscriv­ere un accordo che apparisse ai loro occhi come una svendita della sovranità britannica.

In gioco non c’è solo la Brexit, ma la stessa premiershi­p di Johnson. Cosa lui stia pensando, nessuno lo sa: e a Londra dicono che forse non lo sa nemmeno lui (qualcuno suggerisce di chiedere a Carrie, la sua fidanzata). L’accordo resta a ora lo scenario giudicato più probabile: ma non a qualsiasi prezzo.

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