IL CORAGGIO DI BEATRICE
Per quattro giorni e quattro notti è stata ostaggio del fidanzato. Lui, Giacomo Oldrati, 41 anni, l’ha rinchiusa nel suo appartamento alla Barona, quartiere popolare e periferico di Milano. Stavano insieme da quattro anni e mezzo. All’inizio le violenze sono state soprattutto psicologiche: un controllo morboso, la richiesta di chiudere i profili social, di comunicare a lui ogni spostamento. Ma è stato negli ultimi mesi che è iniziato l’incubo di Beatrice.
Per salvarsi s’è lanciata dal balcone del secondo piano. «L’ho fatto quando mi ha detto: “Adesso se tu non mi racconti quello che mi voglio sentire dire, io t’ammazzo”. Ho capito che mi avrebbe uccisa». Era il 4 giugno 2019. Un anno e mezzo dopo Beatrice Fraschini, oggi 27enne, ha deciso di pubblicare sui social la fotografia scattata nel letto del Policlinico poche ore dopo il ricovero. Il volto irriconoscibile, il naso rotto, microfratture alla testa, alla mandibola, un timpano perforato e poi quattro costole rotte, tre vertebre fratturate e le gambe spezzate nella caduta: «Quando è stata scattata quella foto mi ero addormentata dopo la prima dose di antidolorifico: non sapevo neanche se potevo tornare a camminare».
Accanto alla foto di un anno fa c’è il volto sorridente di oggi. «Le persone mi conoscono così. A molti sembra quasi impossibile che io sia la stessa persona — racconta —. Ho deciso di farlo perché anch’io quando sentivo queste storie pensavo che non sarebbe mai capitato a me. Che sono vicende che riguardano gli altri. Spero che la fotografia possa far capire alle donne vittime di violenza che è possibile salvarsi. Perché oggi la mia vita è ricominciata». Nella denuncia davanti ai poliziotti la 27enne ha ripercorso ogni passaggio di quella relazione. Fondamentale è stato il lavoro di psicologi e sanitari del Policlinico. «Dopo con lucidità ho capito come tutto è iniziato, dalle violenze psicologiche, dall’ossessione del controllo. Quando vivi quel tipo di rapporti pensi che le cose miglioreranno con il tempo. Ma non funziona così».
I genitori di Beatrice si sono conosciuti nel ‘76 alla Croce Verde di Baggio dove lavorava suo papà. Così a marzo, nel pieno dell’emergenza Covid, ha deciso di iniziare la sua carriera da soccorritrice: «Ero in cassa integrazione, sentivo di dover fare qualcosa. Quella per me era una seconda casa, servivano volontari per portare la spesa agli anziani e così ho cominciato». Non ha paura di affrontare altro dolore? «È una storia che mi porto addosso, ogni giorno. Non c’è momento in cui non pensi a quello che ho vissuto».