GIUSTO FERMARE (PER ORA) LO SCI SENZA COLPEVOLIZZARE LO SCIATORE
Caro Aldo, le persone che trascorrono una vacanza in montagna frequentano alberghi, sale ristorante, piscine e saune, baite, rifugi, scuole sci, caffè, bar, supermercati, negozi. Il tutto d’inverno, a temperature basse che inducono a stare al chiuso, in paesini che ospitano per 25 settimane all’anno (estate compresa) un numero sproporzionato di persone che si accalcano ovunque! Inutile e delittuoso arrivare a febbraio e «ops» scoprire che tutto ciò ha trasformato la montagna in un Billionaire sardo moltiplicato per 100.000. Se non ci si organizza bene, sullo sci si rischia la catastrofe.
Molti lettori hanno commentato negativamente la richiesta di Regioni e province che si basano sul turismo, dalla Valle d’Aosta al Trentino-Alto Adige, di riaprire le piste da sci. E in effetti in questo momento la priorità non può che essere la salute dei cittadini e la tutela del sistema sanitario (anche se è dura opporre un veto all’Alto Adige dopo lo straordinario sforzo di fare il test al 70 per cento dei residenti). Però, non prendiamoci in giro: il via libero estivo alle discoteche è stato senz’altro un errore; ma la seconda ondata della pandemia non è certo scoppiata al Billionaire. È scoppiata perché il sistema di tracciamento è saltato.
È chiaro che un liberi tutti per Capodanno sarà impensabile, e anche nei mesi successivi bisognerà procedere con la massima prudenza prima di aprire gli impianti sciistici: una funivia strapiena è di sicuro un ambiente a rischio; semmai potrebbe essere l’occasione per ammodernare gli impianti, visto che le funivie sono il retaggio di una tecnologia ormai superata da sistemi più agili, più sicuri e dal minore impatto ambientale. Mi colpisce però il pregiudizio culturale contro lo sci. Mentre il runner è visto come una persona che ha a cura la propria salute, lo sciatore è visto come un privilegiato capriccioso. Ma qui entriamo nella sfera delle vocazioni e dei gusti personali. Pur ammirando chi lo fa, personalmente trovo noioso correre (e trovo anche fastidioso che qualcuno in questi giorni lo faccia nelle viuzze dei centri storici anziché nei parchi), mentre ho imparato a sciare da piccolo, intendo continuare — pur aspettando qualche mese se necessario —, e non vorrei essere colpevolizzato per questo. La montagna della nostra infanzia era, se non proletaria, piccoloborghese. Si prendeva un pullman pomposamente chiamato «della neve» all’uscita di scuola, oppure la domenica mattina all’alba; destinazione non Gstaad o Sankt Moritz, ma Alagna Valsesia o Limone Piemonte. I maglioni facevano le scintille. La mamma ci preparava il panino con la milanese fredda avvolto nella carta stagnola. Il maestro era un rude montanaro severissimo. Gli sci erano di legno, le attrezzature rudimentali. Ma era bello. Speriamo di ricominciare presto.