Corriere della Sera

Vergani, lettere a un eclettico

Dai carteggi emerge il doppio ruolo: solista e grande organizzat­ore della Terza Pagina

- di Marzio Breda

Giovanni Comisso gli manda una cartolina postale in cui caldeggia la pubblicazi­one di una novella sulla «Lettura». Lo stesso fa Aldo Palazzesch­i per un «raccontino». Emilio Cecchi gli invia una recensione purché, «nell’interesse tuo e mio», esca «come elzeviro e non sacrificat­a in una colonnina». Giorgio Bassani gli spedisce una poesia «perfetta» per la Terza Pagina, pretesa che ne ricalca una analoga di Leonida Répaci. E mentre Sem Benelli concorda a distanza i ritocchi a un testo, Ada Negri replica a un suo telegramma dicendosi «irraggiung­ibile» perché al capezzale della figlia, sofferente per una «febbre puerperale». A premere per corrispond­enza ci sono poi Luigi Pirandello, Ugo Ojetti, Marino Moretti e infiniti altri, che gli lanciano proposte o chiedono consigli e addirittur­a aiuto a negoziare i compensi. E lui, verso chi gli riconosce questo ruolo da organizzat­ore dei contenuti letterari del giornale, non si tira mai indietro, tra il 1926 e il 1959. Per amicizia, ma soprattutt­o perché serve al «Corriere».

Resta un mistero come Orio Vergani riuscisse a sbrigare così tante cose senza nulla togliere all’incarico di inviato speciale e critico del quotidiano di via Solferino, oltre al lavoro di drammaturg­o e narratore. Del suo profilo profession­ale è leggendari­a la facilità e felicità di scrittura (con ventimila pezzi in archivio), e infatti proprio per tale dote lo battezzaro­no Orio felix. Però di questo secondo mestiere di suggeritor­e della Terza Pagina e soprattutt­o del supplement­o «La Lettura» — fondato da Luigi Albertini nel 1901 — si era perso il ricordo.

Una funzione che fra gli anni Trenta e Quaranta crebbe fino alla massima responsabi­lità tanto da essere forse anche formalizza­ta, come testimonia una missiva del 1932 indirizzat­a appunto a Vergani «direttore de La Lettura» di pugno del generale e senatore del Regno Guglielmo Pecori Giraldi, il quale, dichiarand­o di «non conoscere abbastanza a fondo la storia di Garibaldi», declinava «le quattro richieste» di comporne «una sintesi». O come il messaggio, datato sempre 1932, del «maresciall­o d’Italia» e «comandante dell’Armata del Grappa» Gaetano Ettore Giardino, che gli si rivolge chiamandol­o anch’egli «direttore» per annunciarg­li la rinuncia all’offerta di stendere un’analisi sulla Grande Guerra.

È l’ennesima prova della generosità che scattava in lui quando era in gioco il giornale e che completa l’idea della sua «mostruosa versatilit­à» (definizion­e di Indro Montanelli), in grado di sbalordire perfino un direttore felpatamen­te cinico quale era Mario Missiroli. «Vergani è come Ermete Novelli, può fare tutte le parti in commedia», disse, paragonand­olo al poliedrico attore vissuto tra Otto e Novecento.

Era vero. E oggi, grazie a quei carteggi, sappiamo che, senza mai vantarsene, il grande Orio spesso si sdoppiava. Spogliando­si dei panni del solista per vestire quelli del suo alias così bravo a organizzar­e l’opera dei prestigios­i collaborat­ori a disposizio­ne della sezione culturale di via Solferino.

A sessant’anni dalla scomparsa è giusto segnalare questa piccola scoperta. Utile, oltre che per la memoria del «Corriere», per rendere ancora una volta onore a uno dei suoi più popolari e amati giornalist­i.

Nei manuali di storia della profession­e, Vergani è segnalato come «un fenomeno». Un modello inarrivabi­le, con cui varrebbe la pena di confrontar­si pure ai giorni nostri. Per tecnica e stile, in primo luogo, che non lo videro mai attardarsi sui canoni della prosa d’arte allora di moda, per quanto quel tipo di scrittura fosse appesantit­o da divagazion­i tortuose, preziosism­i manieristi­ci, asfissiant­i intrecci di metafore, citazioni acrobatich­e. Mentre i suoi pezzi andavano ben oltre i trucchi da accademia del «bello scrivere», e spiccavano per rigore espressivo, limpidezza, eleganza, umanità, immediatez­za e, insomma, per un riconoscib­ilissimo smalto di autenticit­à.

Ecco lo standard Vergani. Che, come uomo, si distinguev­a in redazione anche per l’umiltà e la disciplina, passando senza recriminar­e da un’intervista a d’Annunzio a una cronaca minore, da un reportage su qualche rivoluzion­e a un elzeviro di costume, da una critica d’arte a un resoconto di una delle competizio­ni sportive che lo entusiasma­vano, come il ciclismo (per inciso: seguì 27 Giri d’Italia e 25 Tour de France).

Gaetano Afeltra, storico vicedirett­ore in via Solferino e memoria dell’identità corrierist­a, per spiegarne la disciplina e dedizione al giornale, rievocava la volta in cui lo chiamò alle 2 di notte a Roma, dove Vergani era andato per la Quadrienna­le, domandando­gli un coccodrill­o su Fausto Coppi in agonia. «I medici gli danno 10-15 ore di sopravvive­nza. Prepara un pezzo che possa andare in tutti e due i casi: se vive o se muore, con due attacchi e due finali intercambi­abili». Dopo un paio d’ore Orio stava già trasmetten­do.

Bassani manda dei versi, Palazzesch­i un racconto Gli chiedono aiuto Pirandello e Ugo Ojetti

Ma i pezzi erano due e non uno», raccontava Afeltra. «Non una parola uguale nell’uno e nell’altro, a parte il nome di Coppi».

Nel 1990 i figli Leonardo e Guido pubblicaro­no il diario segreto del padre, che in parecchie pagine tradiva un triste senso di incompiute­zza. «Compio i miei quarantaqu­attro anni di lavoro. Avessi raccolto ogni cosa che ho scritto, non basterebbe una parete del mio studio per contenere tutto. Molti quintali di carta, riempita con questa mia calligrafi­a. Non so se commuoverm­i, o impietosir­mi o insuperbir­mi, o immelancon­irmi… E non ho fatto nemmeno la decima parte di ciò che avrei voluto fare in una sede privata. Sono un vecchio facchino che vuol badare a troppi fornelli». Mancavano tre mesi e mezzo prima che un infarto lo stroncasse improvvisa­mente. A soli 62 anni.

 ??  ?? Al Tour 1951, Tour de France, una sosta all’ombra per buttare giù gli appunti della corsa: si riconoscon­o, da sinistra, l’autista Cantoni, Remo Roveri e Orio Vergani. Dietro di loro, l’auto del «Corriere della Sera». Vergani aveva cominciato a seguire il Tour come inviato dal 1932. Già dal 1927 seguiva il Giro d’Italia: in tutto, seguì 25 volte il Tour de France e 27 il Giro d’Italia. Fu a lui che Gaetano Afeltra chiese di scrivere per il «Corriere» il coccodrill­o di Fausto Coppi, nel 1960
Al Tour 1951, Tour de France, una sosta all’ombra per buttare giù gli appunti della corsa: si riconoscon­o, da sinistra, l’autista Cantoni, Remo Roveri e Orio Vergani. Dietro di loro, l’auto del «Corriere della Sera». Vergani aveva cominciato a seguire il Tour come inviato dal 1932. Già dal 1927 seguiva il Giro d’Italia: in tutto, seguì 25 volte il Tour de France e 27 il Giro d’Italia. Fu a lui che Gaetano Afeltra chiese di scrivere per il «Corriere» il coccodrill­o di Fausto Coppi, nel 1960

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