Guerra e peste viste con gli occhi dell’Antichità
«Nella storia — è una riflessione di Gandhi — troviamo accuratamente registrato come i re hanno agito, come sono diventati nemici di altri re, come si sono uccisi l’un l’altro; se nel mondo fosse avvenuto soltanto questo, l’umanità avrebbe cessato di esistere da lungo tempo». Presso gli storici antichi, il cui modello è l’Iliade, effettivamente la pace è percepita come un «vuoto». Diodoro, nel XII libro, scrive: «In quell’anno (poco prima della grande guerra tra Atene e Sparta) vi era pace in tutto il mondo, e quindi — conclude — non c’è nulla da raccontare». Del resto si sa che, in greco, nel lessico della diplomazia, la stessa parola (spondài) indica sia «la pace» sia «la tregua»: perché la pace è considerata una situazione transitoria, precaria. Si può anche stipularla, ma con una scadenza. Scadenza che non viene quasi mai rispettata. La guerra produce schiavi (e, talvolta, oro: dipende dal tipo di nemico): è cioè lo strumento fondamentale che fa funzionare una economia di tipo schiavistico; di qui la sua «inevitabilità» e continuità. Nella spirale della storia questo nesso è sopravvissuto ben oltre il declino della schiavitù: le guerre moderne furono combattute per lo più per il predominio imperiale, cioè per imporre rapporti di dipendenza.
Il più antico racconto scientifico di una guerra di vaste proporzioni e di lunga durata fu quello dell’ateniese Tucidide, alla fine del V secolo a.C. Nella sua visione, una guerra è tanto più importante, e degna di essere narrata, quanto più sventure concomitanti (terremoti, epidemie, carestie) hanno contribuito a imprimerne il ricordo. Il racconto della malattia — il terribile contagio pestilenziale — Tucidide lo inserisce come parte integrante del racconto. Influenzato da Ippocrate, stabilisce un nesso profondo tra il mestiere del medico e il mestiere dello storico: entrambi debbono saper leggere «i sintomi». Ma la malattia — questo egli scopre — modifica i comportamenti, e quindi interferisce anche nella vita pubblica e nella guerra. A quel punto, la malattia non è più solo concomitante, ma diviene fattore di storia.