«diMartedì», una macchina che Floris sa guidare bene
Credevo che il talk show fosse l’ultimo palcoscenico della commedia dell’arte, ma Giovanni Floris mi ha fatto ricredere: qualunque argomento venga trattato altro non è che uno spettacolo per il coro, una visione che appare al coro, secondo i canoni della tragedia greca. Il coro agisce e contempla assieme, è spettacolo per lo spettatore. Anche se si parla di emergenza coronavirus o del Natale che ci aspetta o del cenone di Capodanno.
Quasi per gioco, mi è capitato di annotare gli ospiti presenti a «diMartedì», il talk condotto da Floris su La7. Alla fine ho perso il conto e comunque ero arrivato a 27 invitati. Mediamente un talk di prima serata conta sulla presenza di una decina di ospiti.
C’erano quelli illustri (Ilaria Capua, sempre tranquillamente ansiogena, il viceministro Pierpaolo Sileri, il procuratore Nicola Gratteri, il ministro della Salute Roberto Speranza, il coordinatore Cts Agostino Miozzo, Francesco Rutelli), c’erano i clienti abituali (Massimo Giannini, Concita De Gregorio), c’era la quota Rai (Giovanna Botteri, Monica Maggioni), c’erano i soliti direttori di giornali (Marco Damilano sfoggiava una Umask rosso fuoco), c’era la spumeggiante Gallavotti, c’era Fiorella Mannoia, c’era persino una suora economista. Come facciano queste persone a trovare due ore del loro prezioso tempo, per venirci a ripetere in coro di non commettere gli errori dell’estate, resta un mistero.
Per amministrare una trentina di ospiti è necessaria una macchina organizzativa da Protezione civile: per la logistica, per gli argomenti da trattare, per gestire il via vai, per far sì che «l’annebbiamento mentale» (una delle conseguenze del Covid) non colpisca indirettamente lo spettatore di fronte a un simile coro di opinionisti. Bisogna ammettere che Floris è molto bravo a dettare i tempi, a dirigere il traffico, a gestire lo studio e il montato, a evitare ogni assembramento.