Alla partita gridò «Via Bolsonaro!» Ma resta in campo la stella del volley
La giustizia sportiva assolve Carol Solberg
«Non puoi essere d’esempio per nessuno, se non sei libero di dire quello che pensi». Sul profilo Instagram di Carol Solberg, campionessa brasiliana di beach volley, la frase spicca sopra la sua foto in costume da bagno, sguardo fisso e sicuro verso l’obiettivo. L’atleta che tre mesi fa, fresca di una medaglia di bronzo nel campionato nazionale, gridò «Fora, Bolsonaro!» al termine di un’intervista in diretta tv, ha dimostrato di non voler proprio tacere. A costo di finire sotto processo, e rischiare la squalifica, per aver criticato il capo di Stato durante una competizione.
Si è attirata sui social le invettive più reazionarie, compresa qualche minaccia. Alla fine, però, Solberg ha vinto il suo match più insolito e sofferto. Prima multata per aver violato il regolamento, poi ammonita formalmente, la pallavolista ha deciso di fare appello, «in nome della libertà di espressione». E in secondo grado la Corte superiore di giustizia sportiva — 5 voti a 4 — l’ha assolta, sconfessando il giudice Araujo, che aveva affermato: «Ci sono momenti in cui non puoi dire certe cose sul campo di gioco».
«Il mio è stato un grido di tristezza e indignazione per ciò che sta accadendo in Brasile», ha risposto Carol: «Gli incendi, l’Amazzonia, le morti per il Covid-19». Tradotto in cifre. Dall’inizio della pandemia, dati di ieri, sono stati contagiati 6,2 milioni di brasiliani e ne sono morti 171.000 (ma è difficile tenere il conto fra le comunità indigene o nelle bidonville di Rio e delle altre megalopoli). I disoccupati nel Paese sono saliti a 14,1 milioni. Gli incendi in Amazzonia nei primi dieci mesi del 2020 sono aumentati del 25 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019 (che aveva già segnato un record storico): è la situazione più grave dell’ultimo decennio secondo l’Istituto nazionale brasiliano per la ricerca spaziale, che analizza le immagini satellitari della foresta tropicale.
Trentatré anni, figlia e sorella di giocatrici di beach volley, Carol ha nel Dna il pallone, la spiaggia e la determinazione di non fermarsi mai davanti ad un muro, che sia quello delle mani alzate delle avversarie in partita o quello delle potenti lobby che proteggono Jair Bolsonaro. La sua «schiacciata politica» ha attirato su di lei odio ma anche tanti applausi e una certa fama. Negli ultimi tre mesi ha rilasciato decine di interviste ed è apparsa sulle copertine dei settimanali più glamour del Brasile, incitata e insultata sui social. Nessun rimpianto per quella frase. «Come cittadina, mi sento obbligata a parlare ed esercitare la mia cittadinanza. Non me ne pento, è stato un grido spontaneo, qualcosa che era rimasto bloccato per molto tempo in gola, nel petto», ha detto alla rete tv Globo. E ancora: «Sono assolutamente contraria a quello che rappresenta questo governo. Gli attacchi alle donne, ai gay, l’offensiva degli evangelici, e poi il Covid, con il disastro che abbiamo visto. È un vero incubo, un totale disprezzo della vita umana».
Le moltissime manifestazioni di solidarietà, anche da parte di altri atleti, hanno alla fine convinto i dirigenti sportivi a fare marcia indietro. «Sono molto contenta di questo risultato! È un passo importante per riflettere sul ruolo dell’atleta nella società». Molti «colleghi» concordano: dalla star bielorussa del basket Yelena Leuchanka, finita nel mirino del regime di Lukashenko, all’ex attaccante turco Hakan Sukur, costretto da Erdogan all’esilio in Usa.