«Perché ho salvato la vita al signor “il Covid non esiste”»
Sono un rianimatore di un grosso ospedale lombardo, centro di riferimento per il Covid-19. L’altra notte in reparto abbiamo cambiato una cannula trachestomica a un paziente in rianimazione per severa insufficienza respiratoria da Covid-19 che ha necessitato di ventilazione invasiva e supporto delle funzioni vitali. Cannula che ha la peculiarità di permettere la fonazione, e quindi, finalmente, la capacità di espressione verbale. Uno dei primi concetti espressi del paziente è stato: «Il Covid non esiste!». Il mio giovane e bravo collega gli ha fatto notare che si trovava lì per il Covid-19, che noi avevamo trattato e curato («con successo» ha forse specificato con giusto e meritato orgoglio) nelle precedenti tre settimane. Risposta: «Cosa c…o volete, un applauso?». Malevoli pensieri si sono auto-generati, ma la necessità di rispetto del giuramento prestato ha reso virtù il consiglio che Virgilio rivolse a Dante nel III canto dell’Inferno «non ti curar di lor, ma guarda, e passa». Comunque, coerenza nel proprio credo, capacità di sintesi e seraficità sono certo da apprezzare. Torno a casa da mia figlia di due mesi che mi accoglie con un gran sorriso, nonostante i 12 giorni consecutivi in cui non mi ha praticamente visto. Devo portarla a fare il suo primo vaccino esavalente, e mi accorgo che l’appuntamento era due giorni prima. Appuntamento ripreso nel giro di pochi giorni, ma ho passato un pomeriggio concentrato a cospargermi il capo di cenere. Le avevo negato il beneficio di una delle poche scoperte che hanno cambiato la storia della epidemiologia medica degli ultimi (quasi) due secoli, perché impegnato a permettere al signor «il Covid non esiste» nuovamente il suo pensiero.
Un medico rianimatore