Fabiola Gianotti (Cern): «Nello spazio manderei l’incompiuta di Schubert»
La direttrice del Centro sulla fisica delle particelle di Ginevra
Nel 1977 il famoso divulgatore scientifico americano Carl Sagan coordinò l’inviò nello spazio attraverso le sonde Voyager di una selezione musicale per mandare un messaggio a una eventuale civiltà estraterrestre. Abbiamo chiesto alla scienziata e fisica Fabiola Gianotti, la direttrice generale del Cern, cosa avrebbe inviato lei. «Devo dire che sarei stata d’accordo con Sagan, anche io avrei inviato la musica, in particolare la Sinfonia in Si minore di Schubert, la cosiddetta “incompiuta”. Perché è un esempio della creatività e del genio umano ma, allo stesso tempo, anche dei nostri limiti: Schubert scrisse i primi due movimenti della sinfonia e, nonostante avesse avuto il tempo, non la completò mai. Perché non lo fece? Forse perché cercava qualcosa e non è riuscito a trovarlo. Credo che in questo senso l’incompiuta sia un capolavoro, ma anche un esempio di come tutta la nostra vita sia una ricerca continua».
Lei è una fisica e il Cern studia la fisica delle particelle subatomiche. Sembrano cose molto distanti dalla quotidianità e anche dall’emergenza che stiamo vivendo. Se le chiedessi cosa ci insegna questo campo nella nostra vita di tutti i giorni?
«Ci insegna varie cose: dal punto di vista scientifico la fisica delle particelle è la più fondamentale di tutte le scienze e ha a che fare con i mattoncini su cui si basa l’universo. In questo senso ci insegna anche a essere umili perché ci rendiamo conto di quanto poco sappiamo: il 95 per cento dell’universo è sconosciuto, formato dalla cosiddetta materia oscura. Ecco dunque che la fisica ci insegna come la ricerca fondamentale sia molto importante per il progresso della società».
Sappiamo che la ricerca fondamentale è ciò che incide maggiormente sul progresso, ma richiede tanta pazienza. Senza la teoria della relatività oggi non funzionerebbero i nostri Gps e dunque la maggior parte delle funzioni e delle app dei nostri smartphone legate alla geolocalizzazione. È più difficile oggi fare ricerca di base in questo momento governato dalle urgenze?
«Non penso che sia più difficile in questo momento fare ricerca fondamentale, ma è vero che la ricerca fondamentale rimane dietro le quinte ed è quella che nel lungo termine permette di effettuare le svolte più importanti. Questo ce lo dice anche la storia della scienza. Per fare un esempio legato all’attualità, la meccanica quantistica è un esempio di ricerca allo stato puro, sviluppata nel secolo scorso. Oggi senza di essa non avremmo l’elettronica moderna e, in particolare, non avremmo il microscopio elettronico che usiamo per studiare il virus. È molto importante che nei momenti di crisi, in cui ci si concentra giustamente su un campo, non si perdano tutti gli altri. In quale settore sarà la prossima crisi? In quello della cyber-security? In quello ambientale? Sarà una crisi climatica? Non lo sappiamo: il modo migliore per affrontare le crisi è quello di prevenirle e la scienza ci dà questi strumenti».
La ricerca oggi ci suggerisce anche che le risposte migliori derivano da un approccio multi e interdisciplinare. Servono competenze
diverse, senza conflitti ne gerarchie. Crede che dovremmo superare una divisone tra conoscenza umanistica e scientifica che a lungo ha influenzato i dibattiti e anche i finanziamenti?
«Io auspico un ritorno a un approccio olistico, direi quasi rinascimentale, in cui le diverse forme di conoscenza, scienze, umanesimo e arte, facciano parte di un tutt’uno. Purtroppo nel moderno mondo con il tecnicismo che diventa sempre più importante abbiamo un po’ abbandonato questo approccio. Ma anche la pandemia ce lo dimostra: non esiste un solo strumento per combatterla, ci sono tanti diversi tipi di dati che vanno incrociati, che coprono diversi tipi di fattori, da quello di genere all’inquinamento. Per esempio, il Cern non lavora nel campo della virologia ma le nostre tecnologie sono state utili a scienziati che sono in prima linea nella battaglia contro il virus».
Lei ha diretto i 3.000 ricercatori dell’esperimento Atlas che con il super-acceleratore del Cern ha portato anche alla scoperta del bosone di Higgs. Tutti noi abbiamo imparato a citarlo, ma se le chiedessi una spiegazione alla portata di tutti?
«Diciamo che è una particella molto speciale, molto diversa per le sue caratteristiche intrinseche (quelli che chiamiamo numeri quantici) dalle altre particelle che avevamo scoperto precedentemente. Attraverso il bosone di Higgs le altre particelle acquisiscono una massa. Questo è fondamentale perché se, per esempio, gli elettroni e i quark non avessero massa, gli atomi non esisterebbero come sistemi legati e stabili. Noi non saremmo qui e l’universo sarebbe molto diverso».
Le Voyager continueranno il loro viaggio con la musica per 40 mila anni.
L’incompiuta è un esempio di come tutta la nostra vita sia una ricerca continua Per questo motivo il capolavoro ci ricorda anche tutti i nostri limiti
La fisica delle particelle subatomiche ci insegna anche il senso dell’umiltà perché ci ricorda che non conosciamo tante cose, come la materia oscura