«Negazionisti? Qui ne curiamo tanti Usciti, si scusano»
Cosa pensa del dibattito sul sì a veglioni e cene di Natale?
«Per me, per tutti i colleghi, è intollerabile, pur condividendo le ansie degli operatori che vedono sfumare altre opportunità economiche».
Che sentimento prevale?
«In Italia le vittime del Covid sono state circa 52 mila. Ogni giorno qui ne vediamo andar via almeno 70. E c’è chi non vuole rinunciare, per una sola volta nelle vita, a occasioni superflue».
Si avverte tutta, l’amarezza di Massimo Antonelli, direttore della terapia intensiva del Policlinico Gemelli, componente del Cts. È il suo primo sabato a casa, dopo tanti in ospedale. I pazienti trasferiti diminuiscono, lentamente. Sono circa 60 in meno rispetto alla scorsa settimana: «È un segnale. Non significa aver scavalcato la montagna. Però adesso riusciamo a offrire un’assistenza migliore».
Cosa le ha insegnato questa esperienza?
«Tanto. Un’esperienza unica dal punto di vista professionale e delle emozioni. È duro, durissimo veder morire persone che hai sperato ce l’avrebbero fatta e che invece, dopo settimane di sforzi, ci lasciano. È frustrante perché alla fatica psicologica si aggiunge quella fisica. Lavorare con addosso quella bardatura, il sudore, le ferite sul volto lasciate dalla maschera, le mani incapsulate in due paia di guanti. La frustrazione più grande però è un’altra».
Quale?
«Non poter essere visto da chi ci guarda dal letto, ed è solo. Dover comunicare soltanto con gli occhi. È toccante infine dover parlare al telefono con i familiari, ogni tanto in videochiamata. Si aggrappano alle nostre poche parole».
E quindi massimo rigore.
«I nostri morti meritano rispetto. Che senso avrebbe un Natale come se niente fosse o andare sulla neve? Tante persone tendono a porre l’accento sugli aspetti economici e le difficoltà degli esercizi commerciali. Comprendo. Tante altre invece perdono inconsciamente la percezione di una situazione drammatica».
Negazionisti, ne esistono ancora?
«Ne abbiamo curati tanti al Gemelli. Una volta fuori, si sono scusati. Professore, le prometto che farò di tutto per aiutarvi».
È d’accordo quindi con le restrizioni.
«E come non potrei? I numeri parlano. Oltre alla mortalità, l’incidenza dei nuovi casi resta alta, siamo oltre 320 su 100 mila abitanti. Alcune regioni superano i 700-800 casi al giorno. È vero la curva rallenta, l’Rt è sceso sotto l’unità. Però...».
Però?
«Allentare significa andare incontro a una terza ondata. Non è un rischio. È una certezza. Allentare per cosa, poi? Capisco per riaprire le scuole, in questo caso il rischio sarebbe accettabile perché parliamo di un bene superiore. Non bisogna ripetere gli errori dell’estate scorsa».
Nel Cts avete mantenuto con fermezza questa linea?
«Siamo rimasti compattissimi. I segnali sono chiari».
Negli ospedali si avverte minore pressione?
«In alcune regioni è stato superato il 30% dei letti occupati da pazienti con Covid e ciò significa togliere spazio a malati con altre patologie. La scorsa settimana al Gemelli, che ha aperto dallo scorso anno il Covid hospital del Columbus, i malati in terapia intensiva erano 95, ben 69 con Covid».
Chi sono i malati in rianimazione?
«Non solo anziani. Anche adulti di 50-60 anni. A volte restano da noi 4-5 settimane, ma poi hanno bisogno di riabilitazione in ospedale. Questo è un virus terribile. Lascia deficit in tutti gli organi. Liberarsene è difficile anche quando si guarisce. C’è da noi un uomo ricoverato dal 15 agosto, prima in Sardegna, poi da noi».
Con 52 mila morti il dibattito sui veglioni di Capodanno è intollerabile, pur condividendo le ansie degli operatori che vedono sfumare opportunità economiche