I dubbi del Colle sui cambi di ministri Nel caso servirebbe una nuova fiducia davanti alle Camere
I timori per una crisi aperta con l’epidemia
Durante l’estate qualcuno sognava di sfrattare Conte da Palazzo Chigi evocando un esecutivo Draghi. Oggi, caduta l’illusione di quel governissimo, o comunque lo si chiamasse, si ipotizza il rimpasto. Rispetto allo scenario di partenza, è una variante minimalista. Resta però curioso che finora nessuno ne abbia ufficialmente parlato al Quirinale, dove la questione dovrebbe per forza approdare. Ma se dalla rincorsa politico-mediatica di questi giorni si arrivasse al fatto concreto (e si scommette che possa accadere subito dopo l’approvazione della Finanziaria), cosa ne penserebbe Sergio Mattarella? E come si regolerebbe, per quanto gli compete fare a norma di Costituzione?
Avrebbe il timore, da arbitro di questo tipo di passaggi istituzionali, che le forze di maggioranza non abbiano calcolato tutti i pericoli sottintesi a una simile operazione. Infatti, lo preoccuperebbe la prospettiva che il tentativo di costruire una «ripartenza» del governo si tramuti in un azzardo, esponendo la guida del Paese al rischio di indebolirsi, anziché «rafforzarsi» come si pretende, in una fase cruciale. Senza contare che l’opinione pubblica potrebbe equivocare il senso dell’intera manovra e giudicarla magari non tanto nobile. Questo si sa delle riflessioni ultime del capo dello Stato, non per nulla fatte filtrare anche a Montecitorio e dintorni.
Certo, la decisione di un eventuale rimpasto riguarda essenzialmente la maggioranza e il Parlamento. Non, almeno in prima istanza, il capo dello Stato. Il quale tuttavia, se lo informassero di una simile intenzione, sarebbe costretto a ricordare alcune cose: 1) se si trattasse di cambiare un solo ministro, la pratica può essere sbrigata in modo indolore, con un semplice via libera del Colle; 2) se invece i ministri da avvicendare fossero diversi, tre o quattro per esempio, come si dice, si renderebbe necessario un voto di fiducia delle Camere; 3) se poi si intendesse riproporre le figure dei due vicepremier, come vollero Luigi Di Maio e Matteo Salvini per sorvegliare le mosse di Conte nella breve stagione gialloverde, il voto delle Assemblee sarebbe a maggior ragione indispensabile; 4) e se, infine, si pensasse di sostituire addirittura il presidente del Consiglio — e non manca chi ci ha almanaccato sopra — il Quirinale sarebbe costretto a far dichiarare aperta la crisi e avviare subito un giro di consultazioni.
Sono pronti i partner della maggioranza ad affrontare queste prove? Credono fino in fondo alla formula in base alla quale hanno finora scelto di stare insieme e che mostra già parecchie fragilità? Hanno calcolato che qualsiasi rimpasto non è mai a somma zero, nel senso che c’è sempre chi ci guadagna e chi ci perde? Ancora: hanno considerato che è appena stato approvato l’adeguamento dei collegi elettorali, da completare entro il 31 dicembre, rendendo possibile a un Conte in affanno, di difendersi minacciando: dopo di me resta solo il voto?
Ecco alcune domande che Mattarella probabilmente si sentirebbe costretto a rivolgere a quanti lo incalzassero — adesso o dopo la pausa natalizia — per ottenere il suo avallo a un riassetto dell’esecutivo. Ci penserebbe su parecchio, dunque. Perché un «tagliando» di questo genere aprirebbe uno scenario complesso, che spalancherebbe molte incognite, in una fase delicatissima nella quale per lui bisogna semmai che tutti si concentrino a contenere il Covid e, nel contempo, a ridare un po’ di fiato all’economia. Insomma, altro che puzzle dei ministeri da scomporre e ricomporre sulla base di nuovi e provvisori equilibri politici. Da non credersi. All’Italia ora serve responsabilità e prudenza. L’ha ripetuto fino alla nausea. E se lo crederà giusto, lo rifarà...