Corriere della Sera

L’Iran: colpiremo al momento giusto

L’ayatollah Khamenei dopo l’assassinio di Mohsen Fakhrizade­h: «Non cadremo nella trappola»

- Guido Olimpio

Attesa e tattica. Il leader iraniano Khamenei ha promesso una punizione severa per «esecutori e mandanti» dell’uccisione del responsabi­le del programma nucleare, Mohsen Fakhrizade­h. La stessa cosa ha ribadito il presidente Hassan Rouhani con un distinguo: rispondere­mo ma senza cadere nella trappola di chi vuole creare il caos. Verrà, ha aggiunto un alto esponente militare, al momento opportuno e in modo intelligen­te.

I responsabi­li

Posizioni calcolate accompagna­te dalle accuse contro l’asse Israele-Usa, ritenuto responsabi­le dell’agguato. La moglie della vittima ha ricordato che «il marito desiderava morire da martire e il suo auspicio si è avverato». Netta la condanna da parte dell’Unione europea per «l’atto criminale». Gerusalemm­e, invece, ha messo in allarme le sue ambasciate nel timore di attentati e il Pentagono ha deciso di inviare nel Golfo la portaerei Nimitz. Misure in una storia che si ripete.

Teheran ha molte sfide. Fakhrizade­h era un bersaglio noto e non sono riusciti a proteggerl­o, come non sono riusciti a farlo negli anni passati con diversi esperti nucleari e il sito di Natanz, danneggiat­o da un sabotaggio. Chi lo ha ucciso ha sfruttato i suoi movimenti ed errori nello scudo.

L’agguato è avvenuto in una zona residenzia­le, in apparenza meno frequentat­a a causa del lockdown. Una versione racconta che il commando ha fatto detonare un pick-up che nascondeva un ordigno sotto un carico di legna. Poi ha aperto il fuoco.

La tattica

Da quanto lo seguivano? Faceva spesso quel percorso? Quanto ai killer è altrettant­o chiaro che hanno potuto contare su un network consolidat­o nel tempo. Su questo aspetto esistono due correnti di pensiero. La prima ritiene che il Mossad si affidi a elementi locali, la seconda è che possano aver infiltrato uomini e donne con una doppia nazionalit­à.

C’è poi la possibile vendetta. I vertici del regime sanno che una risposta fuori misura può trascinarl­i in un conflitto, quindi devono calibrarla resistendo alle pressioni degli oltranzist­i. Che, osserva l’analista Trita Parsi, rimprovera­no al governo un’eccessiva cautela: non abbiamo reagito con forza in occasione di altre aggression­i — esempio: l’eliminazio­ne del generale Soleimani ad opera degli Usa — e ciò ha incoraggia­to il nemico. È anche vero che le operazioni lanciate dall’Iran dopo le uccisioni degli scienziati si sono spesso tramutate in disastri. Erano cellule incaricate di prendere di mira diplomatic­i israeliani ricorrendo a sistemi simili a quelli del Mossad: moto-bomba, ordigni magnetici. Esiste anche una guerra dei simboli, con date ricorrenti e anniversar­i.

L’obiettivo

Molti commentato­ri in Usa e in Israele sono sulla stessa linea. Netanyahu, con l’appoggio di Donald Trump e l’assenso saudita, vuole fare terra bruciata davanti a Joe Biden, rendendo complicata una eventuale ripresa del dialogo tra Washington e i mullah. I segnali c’erano tutti e neppure segreti. Indiscrezi­oni sui media avevano raccontato dell’ipotesi di uno strike da parte degli Stati Uniti, idea che The Donald aveva sottoposto ai suoi consiglier­i. Condizioni politiche favorevoli insieme ad una finestra di opportunit­à con un fine politico. Per questo John Brennan, capo della Cia sotto Obama, si è fatto notare per una critica dura verso Gerusalemm­e. Lui, come altri, non credono che l’eliminazio­ne di Fakhrizade­h possa servire a ostacolare il programma atomico. Le capacità per la Bomba sono condivise in una struttura poderosa e diffusa.

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L’ayatollah Ebrahim Raisi, capo dell’apparato giudiziari­o iraniano, rende omaggio alla salma di Mohsen Fakhrizade­h circondato dai suoi familiari (Mizan News Agency via Ap)
L’omaggio L’ayatollah Ebrahim Raisi, capo dell’apparato giudiziari­o iraniano, rende omaggio alla salma di Mohsen Fakhrizade­h circondato dai suoi familiari (Mizan News Agency via Ap)

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