Ma è ora di trovare un’alternativa alle sanzioni «punitive» degli Usa
In altri tempi, quando uno Stato non voleva o non poteva affrontare un nemico sul campo di battaglia, l’arma preferita era l’assedio. Da quello degli Achei di fronte alle mura di Troia, nel XIII° secolo prima di Cristo, a quello dei prussiani intorno a Parigi nel 1870, sono numerosi gli assedi registrati dalla Storia. Anche gli Stati Uniti, in un’epoca in cui la guerra potrebbe diventare rapidamente nucleare, ricorrono frequentemente all’assedio, ma con strumenti alquanto diversi da quelli del passato.
Le armi preferite a Washington sono le sanzioni. La gamma delle scelte possibili è vasta. Vi sono sanzioni che proibiscono al Paese «colpevole» di esportare i suoi prodotti (idrocarburi nel caso dell’Iran) e vi sono quelle che proibiscono ai suoi partner commerciali di fornirgli le merci di cui ha bisogno: dai prodotti alimentari ai farmaci (indispensabili negli anni di coronavirus), dalle armi alle macchine utensili. E vi sono infine sanzioni ad personam che colpiscono singoli individui sgraditi a Washington.
Uno dei Paesi maggiormente colpiti è oggi l’Iran. Da quando Donald Trump ha affondato l’istituzione creata per convincere gli iraniani a non proseguire la loro politica nucleare, gli americani si sono serviti di tutti i poteri di cui dispongono per impedire a Teheran di vendere idrocarburi e comprare i beni di cui ha maggiore bisogno.
Molti Paesi si sono piegati ai divieti di Washington, ma altri (fra cui Francia, Germania, Regno Unito, Belgio, Danimarca, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia) hanno deciso di aggirarla con la più antica delle formule commerciali concepite dall’uomo: il baratto. Hanno creato Instex, acronimo inglese di «Strumento per il sostegno agli scambi commerciali». È una specie di sensale a cui i Paesi compratori dichiarano la somma di cui dispongono per l’acquisto, come è accaduto nel caso dell’Iran. Esistono ancora alcune difficoltà: gli idrocarburi non sono per il momento nella lista dei prodotti che l’Iran può esportare, e molti potenziali compratori europei tentennano nel timore di essere puniti da Washington.
Ma un primo passo è stato fatto e i Paesi attratti dal baratto dovrebbero essere incoraggiati anche dagli scopi che gli Stati Uniti si propongono quando cercano di impedirlo. Non vogliono soltanto colpire l’Iran. Vogliono regolamentare tutto il commercio internazionale e dettare le norme a cui l’economia globalizzata dovrà attenersi. La loro arma è il dollaro. Fino a quando la moneta di un singolo Paese continuerà a essere la sola che può contare su una circolazione mondiale, le regole dello scambio saranno inevitabilmente scritte a Washington. Abbiamo già l’Organizzazione mondiale del commercio (in inglese WTO), creata nel 1995 e composta da 157 Paesi. Occorre ora una «Organizzazione mondiale della moneta». Potremmo cominciare tirando fuori dal cassetto (dove dorme dal 1944) il «bancor», l’unità monetaria internazionale proposta da J. M. Keynes per il sistema di Bretton Woods, l’accordo stipulato verso la fine della Seconda guerra mondiale per evitare un’altra Grande depressione come quella del 1929.
Necessario superare la dipendenza dal dollaro come unica moneta per gli scambi internazionali