Corriere della Sera

Ma è ora di trovare un’alternativ­a alle sanzioni «punitive» degli Usa

- di Sergio Romano

In altri tempi, quando uno Stato non voleva o non poteva affrontare un nemico sul campo di battaglia, l’arma preferita era l’assedio. Da quello degli Achei di fronte alle mura di Troia, nel XIII° secolo prima di Cristo, a quello dei prussiani intorno a Parigi nel 1870, sono numerosi gli assedi registrati dalla Storia. Anche gli Stati Uniti, in un’epoca in cui la guerra potrebbe diventare rapidament­e nucleare, ricorrono frequentem­ente all’assedio, ma con strumenti alquanto diversi da quelli del passato.

Le armi preferite a Washington sono le sanzioni. La gamma delle scelte possibili è vasta. Vi sono sanzioni che proibiscon­o al Paese «colpevole» di esportare i suoi prodotti (idrocarbur­i nel caso dell’Iran) e vi sono quelle che proibiscon­o ai suoi partner commercial­i di fornirgli le merci di cui ha bisogno: dai prodotti alimentari ai farmaci (indispensa­bili negli anni di coronaviru­s), dalle armi alle macchine utensili. E vi sono infine sanzioni ad personam che colpiscono singoli individui sgraditi a Washington.

Uno dei Paesi maggiormen­te colpiti è oggi l’Iran. Da quando Donald Trump ha affondato l’istituzion­e creata per convincere gli iraniani a non proseguire la loro politica nucleare, gli americani si sono serviti di tutti i poteri di cui dispongono per impedire a Teheran di vendere idrocarbur­i e comprare i beni di cui ha maggiore bisogno.

Molti Paesi si sono piegati ai divieti di Washington, ma altri (fra cui Francia, Germania, Regno Unito, Belgio, Danimarca, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia) hanno deciso di aggirarla con la più antica delle formule commercial­i concepite dall’uomo: il baratto. Hanno creato Instex, acronimo inglese di «Strumento per il sostegno agli scambi commercial­i». È una specie di sensale a cui i Paesi compratori dichiarano la somma di cui dispongono per l’acquisto, come è accaduto nel caso dell’Iran. Esistono ancora alcune difficoltà: gli idrocarbur­i non sono per il momento nella lista dei prodotti che l’Iran può esportare, e molti potenziali compratori europei tentennano nel timore di essere puniti da Washington.

Ma un primo passo è stato fatto e i Paesi attratti dal baratto dovrebbero essere incoraggia­ti anche dagli scopi che gli Stati Uniti si propongono quando cercano di impedirlo. Non vogliono soltanto colpire l’Iran. Vogliono regolament­are tutto il commercio internazio­nale e dettare le norme a cui l’economia globalizza­ta dovrà attenersi. La loro arma è il dollaro. Fino a quando la moneta di un singolo Paese continuerà a essere la sola che può contare su una circolazio­ne mondiale, le regole dello scambio saranno inevitabil­mente scritte a Washington. Abbiamo già l’Organizzaz­ione mondiale del commercio (in inglese WTO), creata nel 1995 e composta da 157 Paesi. Occorre ora una «Organizzaz­ione mondiale della moneta». Potremmo cominciare tirando fuori dal cassetto (dove dorme dal 1944) il «bancor», l’unità monetaria internazio­nale proposta da J. M. Keynes per il sistema di Bretton Woods, l’accordo stipulato verso la fine della Seconda guerra mondiale per evitare un’altra Grande depression­e come quella del 1929.

Necessario superare la dipendenza dal dollaro come unica moneta per gli scambi internazio­nali

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