Corriere della Sera

Tre italiani su tredici La Chiesa universale dal volto francescan­o

- di Andrea Riccardi

Mercoledì scorso, papa Francesco, durante l’udienza generale, alzando gli occhi dal foglio, ha detto: «Sento una grande tristezza quando vedo qualche comunità che, con buona volontà, sbaglia la strada perché pensa di fare la Chiesa in raduni, come se fosse un partito politico: la maggioranz­a, la minoranza… “Questo è come un Sinodo, una strada sinodale che noi dobbiamo fare”». Forse alludeva al sinodo tedesco, ma non è chiaro. Era grave: «I cambiament­i si fanno come se fosse una ditta, per maggioranz­a o minoranza… Ma non c’è lo Spirito Santo».

Sono varie le preoccupaz­ioni del Papa sul futuro del cattolices­imo. La risposta l’ha data anche con il concistoro per i nuovi cardinali. Qui traccia il volto della Chiesa di domani: è il collegio elettore del futuro Papa che esce dai suoi ranghi. Del resto le cerimonie del concistoro, nonostante le riduzioni, sono suggestive. Nel 1952 Pio XII semplificò gli abiti cardinaliz­i e «tagliò la coda» di dodici metri, che era sorretta dai «caudatari». Wojtyla riprese l’uso del concistoro, come assemblea per dibattere. Benedetto XVI e Francesco hanno tenuto le assemblee prima della creazione dei cardinali. È dal 2015 che non si fa più questa riunione, mentre un gruppo di cardinali lavora con il Papa per la riforma della Curia, il C9.

Due tratti segnano le nomine di Francesco: la frequenza delle creazioni (sette a confronto delle nove di Giovanni Paolo II in 27 anni) e la varietà delle origini. In questo senso è la nomina del cardinale Sim, vicario apostolico del musulmano Brunei, 16.000 cattolici. Il Papa vuole esponenti del cattolices­imo asiatico e di piccole Chiese. Un altro criterio delle nomine è la personalit­à dell’eletto, non la sede storicamen­te cardinaliz­ia. Nelle Filippine non ha scelto il vescovo di Manila. Varie «sedi cardinaliz­ie» in Italia e in Europa restano senza porpora. Due sedi storiche invece l’hanno ricevuto per il loro valore strategico: Santiago del Cile, dove la Chiesa è disastrata dagli scandali di pedofilia, e Washington, dove è stata nominata la bella figura di Wilton Gregory, il primo cardinale afro-americano.

In un’Africa, dove il messaggio di Francesco non fa l’unanimità dei vescovi, preoccupat­i di eccessive «aperture», ha scelto un cardinale che esprime il dramma del Continente. La vita del ruandese Monsignor Kambanda, arcivescov­o di Kigali, è segnata dal genocidio del 1994, in cui ha perso i genitori e cinque fratelli. Un uomo di pace in un Paese traumatizz­ato che ha anche giocato un ruolo forte nella distension­e tra la Chiesa e il presidente Kagame. Dovute ma significat­ive, le nomine del nuovo prefetto delle cause dei santi. Marcello Semeraro, una figura autorevole tra i vescovi italiani e del maltese Mario Grech, cui la porpora dà autorità come segretario del Sinodo, dove già agisce con dinamicità. La scelta del giovane francescan­o Mauro Gambetti premia, oltre alla persona meritevole, il legame con il sacro Convento di Assisi, dove il Papa si è recato a firmare l’enciclica

Fratelli Tutti. Un’altra nomina ad personam è il vescovo di Siena Lojudice, apprezzato dal Papa fin da quand’era ausiliare di Roma per la sua pastorale. Tra gli ultraottan­tenni spicca l’autorevole e carismatic­o predicator­e della Casa Pontificia, padre Cantalames­sa.

Su tredici cardinali tre sono italiani, portando gli elettori italiani a 22 su 128. Inizialmen­te s’era parlato di freddezza di Bergoglio verso l’elemento italiano. Ma, discutendo con Carlo Petrini, dei gesuiti Ricci e De Nobili, ha detto: «Curioso fatto che entrambi… fossero italiani. Questo deve far pensare: cosa hanno gli italiani per avere questa capacità di universali­zzare?». Universali­zzare è uno degli obbiettivi di Francesco, ma anche creare un collegio di cardinali dal sentire omogeneo. Apparirebb­e il contrario: vengono da 70 Paesi diversi. Tuttavia, pur nel pluralismo, sembrano corrispond­ere all’immagine evangelico- francescan­a al fondo della sua impostazio­ne.

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