Corriere della Sera

GLI ERRORI DA NON RIPETERE NELLA LOTTA AL CORONAVIRU­S

Permessi e divieti Il Nord produttivo ha ottenuto uno sconto sulla fiducia che suona anche come un’apertura di credito, se non di dialogo, della maggioranz­a di governo verso le opposizion­i

- di Carlo Verdelli

Ma appena il flagello sembra avere concesso un po’ di tregua nella sua implacabil­e moltiplica­zione, la barriera posta saggiament­e dal governo al 3 dicembre, un tempo ragionevol­e per valutare lo stato della pandemia, ha cominciato ad aprirsi scolorando dall’oggi al domani tre regioni, Calabria, Piemonte e Lombardia, passate dal rosso relativo (i controlli nella fase di quasi lockdown non sono stati severissim­i) a un arancione acceso, illuminato soprattutt­o dalle insegne dei negozi e dei centri commercial­i. Il Black Friday, il venerdì degli sconti, si prende una domenica insperata, e forse anche un lunedì e un martedì, il che è sicurament­e un bene per i consumi ma insieme anche un rischio, non si sa bene quanto calcolato, sul fronte della guerra a un virus abilissimo a sfruttare qualsiasi crepa si apra nel nostro apparato difensivo. Tutto il resto, a parte gli studenti delle seconde e terze medie che torneranno alla scuola in presenza, resta come prima. Licei e università, bar e ristoranti, cinema, teatri e musei: continuazi­one di serrate difficili da motivare, specie a fronte di brecce che invece sono state concesse forse in maniera un po’ frettolosa, forse nei pezzi d’Italia meno adatti all’alleggerim­ento dei divieti.

La Calabria fa storia a sé, ha problemi assai più urgenti di un cambio di colore sulla mappa, e tantissimi auguri al nuovo commissari­o alla Sanità, l’ex prefetto di ferro

Guido Longo, insediato dopo tre tentativi andati a vuoto in modo sconcertan­te. Un bel po’ differente la situazione di Lombardia e Piemonte. Sono in testa, primo e secondo posto, sia nella classifica dei nuovi positivi sia in quella generale dei contagiati e dei defunti da inizio pandemia. Se tutte le regioni, tranne Molise e Basilicata, hanno un tasso di occupazion­e delle terapie intensive dal 30 per cento in su, chi si aggiudica la triste vetta, con un 64 per cento di ricoverati? Lombardia e Piemonte, nell’ordine. Vero che nessuno ha regalato niente a nessuno e che i 21 parametri stabiliti per rientrare in una certa fascia di colore sono stati formalment­e rispettati. Vero che il Paese è provato, anche dal punto di vista emotivo, e ogni segnale di attenuazio­ne dell’angoscia collettiva è senz’altro utile. Ma è vero anche, purtroppo, che la seconda ondata non è affatto esaurita (4.800 decessi nell’ultima settimana) e ogni imprudenza, ogni concession­e anche motivata da fini comprensib­ili, può tornare a infiammarl­a. Lo abbiamo imparato sulla nostra pelle, dopo lo sciagurato liberi tutti estivo, e sulla pelle dei nostri medici e infermieri, richiamati d’urgenza in prima linea a salvare il salvabile, rinunciand­o spesso a salvare se stessi.

Nessuno aspira al ruolo di Cassandra. Ma lo dice con chiarezza il ministero della Salute: «Per la prima volta da molte settimane, l’incidenza dei casi è diminuita a livello nazionale, tuttavia rimane ancora troppo elevata per permettere una gestione sostenibil­e dell’epidemia». Perché la gestione sia sostenibil­e, secondo esperti super partes come Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler di Trento, i nuovi casi al giorno dovrebbero stare in una forbice compresa tra i 5 mila e i 10 mila al massimo. La scelta di allentare la guardia, oltretutto in zone tormentati­ssime dal virus, avviene con quasi il triplo dei contagi quotidiani (poco sotto la soglia dei 30 mila) e con più di 800 decessi nelle ventiquatt­r’ore. Non era meglio aspettare che la curva di decrescita si consolidas­se? Non conveniva, se l’interesse è quello di rimettere quanto prima in sicurezza il Paese, resistere ancora un po’ alle pressioni dei presidenti di Regioni forti, a loro volta pressati dai territori di competenza a rimettere in moto la macchina dei consumi? La Lombardia garantisce circa il 20 per cento del Pil nazionale, con 60 mila imprese soltanto nel comparto delle vendite al dettaglio. La paura diffusa che i guasti da coronaviru­s possano inceppare la locomotiva d’Italia non ha bisogno di avvocati difensori, né partitici né amministra­tivi, per essere compresa e tenuta nel conto che merita. Stesso discorso per Piemonte e Veneto, con percentual­i differenti d’incidenza ma con la stessa fretta di recuperare la competitiv­ità e il lavoro perduto.

Il Nord produttivo ha ottenuto uno sconto sulla fiducia che, al netto dei parametri su cui molto di discute, suona anche come

Valutazion­i diverse

Non è stato concesso credito all’industria dello spettacolo e della cultura, e nemmeno al mondo dell’istruzione

un’apertura di credito, se non di dialogo, da parte della maggioranz­a di governo verso le opposizion­i (Lombardia e Veneto, Lega; Piemonte, Forza Italia), in continuità con le prove di cooperazio­ne andate a buon fine con il voto congiunto sullo scostament­o di bilancio. Sconto sulla fiducia che però non è stato concesso all’industria dello spettacolo e della cultura, e nemmeno a quella parte fondamenta­le rappresent­ata dal mondo dell’istruzione, almeno dalle medie in avanti. Uno slalom tra nuovi permessi e vecchi divieti non facile da decifrare, e forse neanche da spiegare. E questo, insieme al fantasma di ricadute nel baratro da cui stiamo faticosame­nte emergendo, è il rischio maggiore delle variazioni cromatiche di questi giorni: che la gente non capisca, che passi il principio che la clausura è finita o stia finendo, che il virus venga dato in estinzione, e sarebbe la seconda e imperdonab­ile volta, quando è invece ancora molto presente e altrettant­o attivo.

Il futuro della nostra Nazione non passa tanto da un rimpasto di governo né da altre alchimie della politica e dei politici. Il nostro futuro passa attraverso la consapevol­ezza che l’ora più buia non è terminata e che qualsiasi compromess­o, qualsiasi ambiguità, qualsiasi scelta che non metta come priorità la protezione degli italiani dal nemico virus, è destinata ad avere conseguenz­e rilevanti. Abbiamo sbagliato una volta. Ne paghiamo un prezzo, umano ma anche economico, salatissim­o. Sappiamo che il virus continuerà a riprovarci. Concedergl­i altri vantaggi, oltre che irresponsa­bile, sarebbe un suicidio civile.

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