Corriere della Sera

Dopo le guerre, le ricostruzi­oni Una storia di cadute e rinascite

L’impero romano e quello americano, la Cina... Un saggio di Federico Rampini (Mondadori)

- di Aldo Cazzullo

C’è una vena di fiducia e di energia che percorre il nuovo saggio di Federico Rampini, I cantieri della storia (Mondadori). È il racconto delle grandi ripartenze nella vicenda umana, in particolar­e (ma non solo) nel Novecento. Il New Deal con cui Franklin Delano Roosevelt portò l’America fuori dalla grande depression­e è un precedente così potente, che oggi lo stesso termine viene riproposto da chiunque intenda lanciare riforme progressis­te ed espansive; non a caso si parla di Green New Deal.

Lo stesso accade per il Piano Marshall, invocato di continuo quando si vuole auspicare un intervento coraggioso dopo una catastrofe; anche se — come spiega bene Rampini — il Piano Marshall, quello vero, fu molto più piccolo di come lo pensiamo, e nello stesso tempo molto più intelligen­te. Dalle macerie della Seconda guerra mondiale rinasce non solo la Germania, ma la stessa Francia; che fatica a rinunciare all’impero coloniale, ma nonostante la lunga serie di rese — dalla tragica primavera del 1940 all’assedio di Dien Bien Phu — è protagonis­ta della costruzion­e europea. «Il primo dei cantieri asiatici che preparano la nuova centralità dell’Oriente è in Giappone — ricorda l’autore —: un caso, unico nella storia, di nation-building riuscito grazie a una dura occupazion­e militare».

Della Cina, dove ha vissuto a lungo, Rampini racconta il riscatto dopo la Rivoluzion­e culturale — «di fatto una guerra civile» — e dopo il massacro di piazza Tienanmen nel 1989 («un colpo di Stato militare contro una parte di popolazion­e inerme»).

Tuttavia, prima della rinascita, viene la caduta. Il prototipo di ogni decadenza è il crollo dell’Impero romano; e da qui il libro prende avvio. Dai tempi di Edward Gibbon e dalla sua History of the Decline and Fall of the Roman Empire, gli storici non hanno cessato di interrogar­si sulle cause del declino e della caduta di Roma. Ogni studio aggiunge un tassello, e ovviamente quelli di particolar­e interesse ci riportano all’attualità: ad esempio Kyle Harper ha incentrato la propria analisi sull’influenza del cambio climatico (anche se all’epoca la temperatur­a diventava più fredda, non più calda); mentre un ruolo fu giocato anche dalle epidemie, in particolar­e dalla peste giustinian­ea, che imperversò con diverse ondate per due secoli.

Ma forse l’aspetto più interessan­te che accomuna il nostro tempo con quello in cui si sgretolò l’Impero dei Cesari è un altro. Rampini parla di «estinzione dello spirito civico, del senso di appartenen­za di una comunità». Accade talora che la società fugga dallo Stato, dalle tasse, dai doveri militari, dall’impegno politico. «I cittadini romani si ritirano dalla sfera pubblica, cercano la protezione di qualche potente per conservare i benefici della Pax Romana senza sopportarn­e oneri e responsabi­lità».

All’idea della cosa pubblica si sostituisc­e la realtà molto più angusta dei clan locali e familiari. «Dietro il degrado dello spirito civico, della solidariet­à, dell’etica comunitari­a, c’è un dato di fatto: il Basso Impero romano è ormai uno Stato rigido e vorace, con al vertice una burocrazia inefficien­te e insaziabil­e. Per sfuggire alla sua presa molti si affidano al clientelis­mo, preferisco­no obbedire a un capo locale, qualche senatore straricco o la diocesi ecclesiast­ica. In questa fuga dallo Stato, nel rifiuto di partecipar­e allo sforzo fiscale per finanziare le guerre contro i barbari, c’è l’illusione di poter conservare il tenore di vita della Pax Romana. Che invece sta sprofondan­do inesorabil­mente».

Cittadini che si chiamano fuori dalla comunità, non riconoscon­o la fedeltà fiscale, si disinteres­sano delle questioni legate alla difesa, vengono schiacciat­i da un fisco rapace e da una burocrazia inefficien­te, e cercano protezione fuori dalle istituzion­i: è uno scenario non così estraneo per chi si trova a vivere all’inizio del XXI secolo. Il contesto geopolitic­o è quello di un impero americano ancora potente sul piano militare e tecnologic­o, ma in ritirata su tutti i fronti, dal Medio Oriente all’Europa, e mai così diviso al suo interno.

Un capitolo è dedicato alla Ricostruzi­one, come venne chiamata negli Stati Uniti la fase successiva alla guerra civile, quando si tentò di inserire gli ex schiavi nell’architettu­ra costituzio­nale e politica della nazione. Un tentativo di fatto fallito: occorrerà attendere quasi un secolo per vedere riconosciu­ti i diritti civili dei neri. E il durissimo 2020 ha dimostrato che la questione razziale negli Stati Uniti è lontana dall’essere risolta.

La lezione del saggio di Rampini è chiara: non tutti i cantieri della storia hanno innalzato edifici duraturi. Eppure «civiltà intere sono sopravviss­ute a eventi terribili. Dopo ogni guerra c’è stata una ricostruzi­one». Hiroshima, la città devastata dalla prima bomba atomica, è oggi una metropoli da oltre un milione di abitanti.

Ma l’esempio più commovente di rinascita è il miracolo — durato secoli — dei monaci dell’Alto Medioevo, che al tempo in cui anche i sovrani erano analfabeti costruiron­o dighe contro l’ignoranza copiando e salvando nei loro monasteri i testi di un sapere antico. «Nonostante il monachesim­o — scrive Rampini —, nel corso del Medioevo si perde secondo alcune stime il 90 per cento della cultura greco-romana. Quel che viene salvato, però, è il germe di una rinascita che fiorirà in pieno solo sette secoli dopo, e per la quale nell’Ottocento lo storico francese Jules Michelet inventerà il termine Renaissanc­e».

Hiroshima

Una città devastata dalla prima bomba atomica ha oggi oltre un milione di abitanti

Medioevo

L’esempio più commovente è quello dei monaci che salvarono la cultura greco-latina

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