Corriere della Sera

Non ne siamo usciti migliori (almeno non a tavola)

- di Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it

Qualcuno non cucinava perché non c’era il tempo. Qualcuno non cucinava perché non c’era spazio. Qualcuno non cucinava perché no, non c’era quella che le nostre nonne chiamavano «la mano felice», una mano che sa dove andare, quanto sale prendere, qual è il gesto giusto per accompagna­re la sfoglia. Poi, il mondo si è fermato. Inchiodati al presente, ridotti a voci isolate e rintanate nelle case, un po’ tutti abbiamo finito per (ri)prendere in mano un mestolo e sopperire così alla mancanza della mensa aziendale o del solito ristorante. Ma ci sono anche quelli che prima mangiavano solo a casa e che adesso vedono il mestolo come un’arma contundent­e: come si fa a cucinare con lo stesso spirito pionierist­ico di prima quando ci sono i figli da seguire (le scuole sono praticamen­te chiuse) o le riunioni su Zoom a orari improbabil­i? E ci sono quelli che sono finiti in smart working a tempo indetermin­ato: magari sono fortunati e hanno più tempo, così hanno scoperto che lo zenzero non è soltanto una radice esotica ma ci si può fare anche un’insalata di pollo. Ci sono quelli che sono ingrassati (ahimè, la maggior parte) e quelli che sono dimagriti. Ci sono quelli che stanno cucinando per noia e quelli che lo fanno per disperazio­ne, visto che non c’è alternativ­a. La pandemia ha scardinato molte delle nostre abitudini ma non è esagerato dire che il cibo è il terreno più smosso. Gli esperti dell’Istituto Auxologico Italiano hanno fatto due conti: durante la prima ondata il consumo di olio è cresciuto del 18%, quello del pesce fresco del 14% (quello della carne è +30%) ma anche quello di alcolici (vino +15%, birra +10% ), sempre rispetto allo stesso periodo del 2019. Sapevamo che non ne saremmo usciti migliori, anche quando ce lo ripetevamo cantando al balcone. Ma siamo ancora in tempo a rimediare, possiamo migliorare, almeno a tavola. Anche se bisogna dirselo con franchezza e in tutta onestà: imparare a cucinare in cattività non è come farlo in tempi spensierat­i. E, soprattutt­o, per gli astemi è durissima.

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