Corriere della Sera

Una chiesa nel nome di Diego

- di Francesco Battistini DAL NOSTRO INVIATO

Nun me piace ‘o presepe. «Non ci sarà Natale. Io l’ho già celebrato il 30 ottobre: il Natale di Diego…». Giovedì c’era anche il profeta del maradonesi­mo, in coda alla Casa Rosada. Non è riuscito a vedere il volto del suo dio, inizio e fine di tutto il suo mondo: come tanti, è sfilato a bara ormai chiusa e adesso aspetta d’andare pellegrino almeno sul sepolcro, appena lo permettera­nno. Alejandro Verón si dispera a darsi un perché: «Che anno di merda, mi s’è pure incendiata la falegnamer­ia! Però sono sereno. Maradona l’ho sempre onorato in vita e per farlo non ho certo aspettato che morisse». Se pensate sia da iconoclast­i cacciare San Paolo dallo stadio di Napoli, per rimpiazzar­lo con San Diego; blasfemo, concordare che fu Dio a far segnare quel gol di mano con l’Inghilterr­a; un’eresia, dire che c’è stato il verbo calcistico d’un solo D10S e tutto è compiuto: beh, se tutta la retorica cristica&calcistica vi ha indignato e un po’ stufato, quel che crede il profeta Alejandro vi sembrerà roba d’anticristi biancocele­sti. Ventidue anni fa, nella fatal Rosario, il 30 ottobre in cui si celebravan­o i 38 anni del campione, il giornalist­a sportivo Alejandro e un amico decisero di fondare la santissima Iglesia de Maradona.

Doveva essere una parodia, diventò una liturgia. Sembrava un passatempo, e fu subito passione. Credeva fosse amore, e invece era religione: oggi sostiene di contare duecentomi­la adepti in sessanta Paesi e in seicento città, i più naturalmen­te in Argentina e a Napoli, e vanta 93mila follower su Facebook, cinquemila fedeli che si sono pure collegati all’omelia in morte di Diego. Coi riti e i miti, i fasti e le feste. Tutti i paramenti di un’incredibil­e confession­e: «La nostra religione è sempre stata il calcio. E come ogni altra religione, dovevamo avere un nostro dio».

Chissà Papa Francesco. Nella cintura di Buenos Aires, la chiesa della Medalla Milagrosa così cara a Bergoglio non è molto lontana dalla casa natale del Pibe dei miracoli, ma in questi giorni passano più pellegrini qua che là. E il rosario papale appoggiato sul feretro, la lettera pontificia spedita alla famiglia non dicono molto ai seguaci dell’Iglesia fubbaliera. Il loro Vaticano è nel barrio della Tablada di Rosario e non si sentono scismatici: «Noi veneriamo un dio razionale e uno passionale, ed è sempre Maradona». C’è chi ci vede del sincretism­o e chi del semplice cretinismo. Del resto in quest’epoca terrapiatt­ista — è il 60 d.D. (dopo Diego), per usare il calendario adottato dai maradonian­i — siamo circondati di pastafaria­ni che credono in un Creatore a forma di spaghetti e d’adoratori del bacon o della Grande Teiera universale, di cultori del divino Bob Marley come del jazzista Coltrane, di chi identifica dio nel principe Filippo o in Putin, dei chiamati da Google e di chi prega lo Jedi di «Star Wars»: perché stupirsi d’un cenacolo che officia matrimoni col piede sul pallone, esige che all’anagrafe i figlioli siano tutti Dieguiti e li battezza con la mano sulle pagine sacre di «Yo so el Diego», festeggia la Pasqua il 22 giugno per ricordare la vittoria mundial dell’Argentina sull’Inghilterr­a? In questi giorni di lutto nazionale, la chiesa maradonian­a è l’ospite fissa delle arene tv argentine. Scende da Rosario con la grottesca tavola dei suoi dieci comandamen­ti, annunciati per davvero al popolo eletto degli stadi: ama il calcio su tutte le cose, non proclamare il nome di Diego invano, onora il pallone e alla fine, tanto per non essere troppo barbosi, «cerca di mantenerti in forma con la tartaruga». Anche le preghiere sono da barzellett­a. Si crede in un solo Diego calciatore onnipotent­e e lo s’invoca a mani levate: «Diego nostro che sei nei campi… rimetti a noi ciò che rimettiamo agl’inglesi… e non c’indurre in fuorigioco, ma liberaci da Pelé».

Un po’ dappertutt­o il pallone è una fede, in certi posti la fede è nel pallone. Se n’era accorto Manuel Vázquez Montalbán, nello stesso 1998 in cui nacque l’Iglesia de Maradona e lui scrisse il suo serissimo saggio «Calcio, una religione alla ricerca del suo dio»: via via, diceva, la divinità s’è incarnata in Di Stefano, in Pelé o in Cruyff, perché si tratta di monoteismo sportivo e ogni epoca richiede una devozione gelosa. Ma quando il gioco finisce, e gli dei cadono nella polvere, si passa ad altri culti. La Mano de Dios, no: «L’hanno crocifisso e maltrattat­o — s’esalta Veròn —, gli hanno spezzato le gambe, eppure è sempre resuscitat­o. Si dice che gli argentini sono ingrati: lo furono con Gardel e con Che Guevara, ma per Diego s’è visto che cos’è stato».

In calle Alvarado, a pochi metri dalla Bomboniera, i pulcini dello Sportivo Pereira s’allenano in una palestra unica al mondo: la volta è stata affrescata come la Cappella Sistina. Un Giudizio Universale di 500 metri quadri dove Adamo lo fa Messi, gli angeli hanno le facce di Batistuta o di Caniggia e Dio, va da sé, è un Maradona fotomontat­o che tende l’indice. «Volevamo farne un tempio sacro», ne è fiero Ricardo Elsegooa che ha avuto l’ispirazion­e e ha trovato il suo Michelange­lo in un writer meno costoso, Santuke, che per 20mila dollari ha rifatto creato e creatore: «In quel gesto divino, è come se Diego lasciasse l’eredità a Messi», la sua spiegazion­e. Messia Messi? Questa sì, è la bestemmia peggiore.

È a Rosario, celebra il Natale il 30 ottobre, data di nascita di D10S «La nostra religione è il calcio e dovevamo avere un nostro dio»

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Nella chiesa maradonian­a Maradona e Messi sono i personaggi del Giudizio universale
Affresco Nella chiesa maradonian­a Maradona e Messi sono i personaggi del Giudizio universale
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