La restaurazione diplomatica di Linda Thomas-Greenfield
«Nominare una donna nera era importante, sceglierne una che è stata licenziata da Trump è una dichiarazione politica». Così le fonti diplomatiche interpretano la nomina di Linda Thomas-Greenfield, scelta da Joe Biden come ambasciatrice alle Nazioni Unite. A 68 anni, Thomas-Greenfield è considerata un segnale di restaurazione della politica estera tradizionale, da lei teorizzata su Foreign Affairs, ma anche un simbolo di progresso: in un ambiente diplomatico con la reputazione di essere «pale, male and Yale» — bianco, maschio e con una laurea in un’università dell’Ivy League — il presidente eletto ha conferito uno degli incarichi più importanti a una donna nera, specializzata in affari africani, che Trump aveva sollevato dall’incarico nel 2017, durante le «purghe» del dipartimento di Stato. Nata nel 1952 in una cittadina della Louisiana in cui, come ha raccontato in una Ted Talk, «nei weekend arrivava il Ku Klux Klan per bruciare una croce nel giardino di qualcuno», figlia di genitori che non avevano finito il liceo, Thomas-Greenfield si è laureata nel 1974 all’università statale, dove fu costretta a fare i conti con il razzismo. Entrata al dipartimento di Stato nel 1982, è rimasta per 35 anni ricoprendo incarichi in Svizzera, Pakistan, Kenya, Gambia, Nigeria, Giamaica e Liberia, dove è stata ambasciatrice. Diplomatica apprezzata, già direttrice generale del foreign service, non dovrebbe avere problemi di conferma in Senato: Biden restituirà inoltre al ruolo lo status ministeriale, dandole un posto nel consiglio per la sicurezza nazionale.