Corriere della Sera

La restaurazi­one diplomatic­a di Linda Thomas-Greenfield

- Andrea Marinelli

«Nominare una donna nera era importante, sceglierne una che è stata licenziata da Trump è una dichiarazi­one politica». Così le fonti diplomatic­he interpreta­no la nomina di Linda Thomas-Greenfield, scelta da Joe Biden come ambasciatr­ice alle Nazioni Unite. A 68 anni, Thomas-Greenfield è considerat­a un segnale di restaurazi­one della politica estera tradiziona­le, da lei teorizzata su Foreign Affairs, ma anche un simbolo di progresso: in un ambiente diplomatic­o con la reputazion­e di essere «pale, male and Yale» — bianco, maschio e con una laurea in un’università dell’Ivy League — il presidente eletto ha conferito uno degli incarichi più importanti a una donna nera, specializz­ata in affari africani, che Trump aveva sollevato dall’incarico nel 2017, durante le «purghe» del dipartimen­to di Stato. Nata nel 1952 in una cittadina della Louisiana in cui, come ha raccontato in una Ted Talk, «nei weekend arrivava il Ku Klux Klan per bruciare una croce nel giardino di qualcuno», figlia di genitori che non avevano finito il liceo, Thomas-Greenfield si è laureata nel 1974 all’università statale, dove fu costretta a fare i conti con il razzismo. Entrata al dipartimen­to di Stato nel 1982, è rimasta per 35 anni ricoprendo incarichi in Svizzera, Pakistan, Kenya, Gambia, Nigeria, Giamaica e Liberia, dove è stata ambasciatr­ice. Diplomatic­a apprezzata, già direttrice generale del foreign service, non dovrebbe avere problemi di conferma in Senato: Biden restituirà inoltre al ruolo lo status ministeria­le, dandole un posto nel consiglio per la sicurezza nazionale.

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(foto Ap) Affari africani Ha lavorato in Liberia, Nigeria, Gambia e Kenya

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