Diego firmò per il Napoli sul cofano della Jaguar
Una corsa contro il tempo, poi Ferlaino lo ricomprerà
Estate 1984, tra fine maggio e lo spirare del mese di giugno: 28 giorni a Barcellona, quattro settimane di sudori, dall’euforia allo sconforto, per la trattativa infinita. Noi giornalisti nei panni di poliziotti, scrittori di gialli, di tutto di più. Inseguimenti, appostamenti, depistaggi. Di Maradona ha parlato, per primo, Gianni Di Marzio, napoletano di Mergellina e allenatore del Napoli, un giorno di giugno del ’78. Al telefono dal ristorante Capri di Buenos Aires. «Diciotto anni, un vero fenomeno. È qui, vicino a me, come un cagnolino, muore dalla voglia di venire a Napoli. Parlane con Ferlaino». Il bambino di Villa Fiorito valeva due milioni di dollari. Strani tipi i dirigenti del Barcellona, coordinati dal presidente Nunez, abili seminatori di verità improbabili. Maradona un giorno è vicino al Napoli, quello dopo non più trasferibile. Il Napoli, intanto, ha inviato le garanzie bancarie richieste dal Barcellona Los avalos, gli avalli, appoggiati presso la Màs Sarda, la banca di riferimento del club catalano. Garanzie per 8,5 milioni di dollari. Secca la risposta: «Il Barça non tratta la cessione di Maradona».
La riunione decisiva è fissata al Princesa Sofia, uno degli alberghi del vicepresidente Juan Gaspart, che presiede il meeting. Presenti Maradona, il suo manager, e Antonio Juliano, dg del Napoli, assistito dal dirigente Dino Celentano. Conclusione: il Barcellona non cede Maradona.
Ferlaino minaccia una denuncia all’Uefa. «Faremo parlare i documenti». Consigliato dal manager di Diego, Juliano vira su Hugo Sanchez. Attaccante messicano con la laurea in odontoiatria. capocannoniere della Liga, gioca nell’Atletico Madrid. Andremo a vederlo a Valladolid, partita di ritorno della finale di Coppa di Lega. Appuntamento la mattina seguente al bureau del Princesa Sofia.
Domenica. Juliano si presenta con ampio ritardo. In chiaro imbarazzo, rivela: andrà via in macchina col direttore dell’hotel e chiede di non seguirlo. E aggiunge la cosa più importante: va da Gaspart, che l’ha invitato a pranzo nella sua casa di campagna a St. Andreu de Llobregat, 40 minuti in auto da Barcellona.
Una domenica indimenticabile. Juliano vada pure, però ad una condizione: sugli sviluppi è tenuto a informarci costantemente. La sorpresa in prima serata: il dg comunica, il Napoli è vicino all’acquisto di Maradona. Poi, la voce concitata di Patrizia, la signora Ferlaino, al telefono da Napoli. «Il giocatore è nostro, ma rischiamo di non poterlo tesserare». Ma com’è questa storia?
Juliano è bloccato nel traffico. Arriverà a Barcellona nel cuore della notte. Quando il tempo per il tesseramento di calciatori provenienti dall’estero sarà scaduto, alle 24 del 30 giugno. «Dovresti fare un miracolo», chiede la signora Patrizia. Che sarebbe il miracolo? Gli inviati dei giornali italiani dovrebbero omettere l’orario della firma del contratto per il trasferimento di Maradona. Qualcuno non è d’accordo? Nessuno. Diego al Napoli è una vittoria professionale per tutti.
L’una di notte all’aeroporto El Prat. L’aereo privato del comandante Carli tiene accesi i motori sulla pista. Il contratto viene firmato sul cofano della Jaguar grigio metallizzato di Diego. Pochi minuti alle due. Ferlaino sarà in Lega alle sei del mattino. Chiederà all’addetto della portineria di sostituire il plico inutile riempito di cartacce con quello vero, senza cambiare le modalità del protocollo. Una robusta regalia nel palmo della mano ad accompagnare la richiesta.
Complimenti Juliano, ma dove si va a brindare alle tre della madrugada? L’unico locale aperto è al Paseo de Gracia. Ha poco da servire, cotolette, patate fritte e una coppa di Cava. Mentre Napoli già canta «Maradona è meglio ‘e Pelé», parole e musica del maestro Campassi.
Caso unico nella storia del calcio, l’esagerato Maradona, eccessivo in tutto, nel genio calcistico immenso e nella sregolatezza, sarà acquistato dal Napoli due volte. La prima dal Barcellona; la seconda ancora dal Napoli, all’atto del primo rinnovo del contratto. Alla stessa cifra pagata al Barcellona, 13 miliardi di lire.
Davvero clamoroso, a tre anni di distanza dal primitivo abbraccio di Napoli: 64mila voci allo stadio, prezzo del biglietto 1.000 lire, l’incasso in beneficenza. «Buonasera napolitani» e il discorsetto in italiano imparato a memoria a Barcellona. Mentre la trattativa infinita…