L’Egitto gela l’Italia: Regeni, prove scarse
I pm pronti a procedere contro 5 uomini dei Servizi. I genitori di Giulio: «Un oltraggio, via l’ambasciatore»
Caso Regeni, l’Egitto gela l’Italia «prove insufficienti, ancora ignoto il killer». I genitori di Giulio: «Un oltraggio». E intanto la procura di Roma chiude le indagini su cinque appartenenti ai servizi segreti del Cairo.
La Procura di Roma chiederà nei prossimi giorni il processo per i presunti responsabili del sequestro, delle torture e dell’omicidio di Giulio Regeni, individuati tra i cinque «appartenenti agli apparati di sicurezza» egiziani iscritti un anno fa nel registro degli indagati. Il procuratore Michele Prestipino l’ha comunicato ieri, durante un incontro in videoconferenza, al procuratore generale della Repubblica Araba Hamada Al Sawi; il quale, per tutta risposta, ha «avanzato riserve sulla solidità del quadro probatorio, che ritiene costituito da prove insufficienti per sostenere l’accusa in giudizio».
Difficile immaginare una rottura più netta. Le strade dei due uffici giudiziari, che in cinque anni di tanto declamata quanto quasi completamente assente «cooperazione» (ribadita anche ieri) non hanno mai proceduto nella stessa direzione, si dividono definitivamente. Non a caso, dopo aver letto il comunicato congiunto delle due Procure, Paola e Claudio Regeni — i genitori del giovane ricercatore rapito e assassinato tra il 25 gennaio e il 3 febbraio 2016 al Cairo — sono sbottati insieme all’avvocata Alessandra Ballerini contro la «sfrontatezza» delle autorità egiziane: «Non solo non rispondono alle rogatorie e non sono in grado di fornire cinque indirizzi (quelli degli indagati, necessari a notificare gli atti processuali, ndr), ma si permettono persino di giudicare il quadro probatorio delineato dalla nostra Procura. Un’assoluta mancanza di rispetto nei confronti non solo della nostra magistratura, ma anche della nostra intelligenza. Crediamo che il nostro governo debba prendere atto di questo ennesimo schiaffo in faccia e richiamare immediatamente l’ambasciatore. Serve un segnale di dignità».
La mossa di Conte
Dieci giorni fa il presidente del Consiglio Conte aveva telefonato al presidente egiziano Al Sisi per sollecitarlo a cercare ancora insieme una via d’uscita allo stallo delle ultime settimane; l’incontro di ieri doveva servire a questo, e al di là della spaccatura netta sulle conclusioni raggiunte, il lungo e involuto resoconto redatto dai due procuratori offre al governo la possibilità di nascondere gli insuccessi politico-diplomatici con i risultati raggiunti dal lavoro compiuto dal pubblico ministero Sergio Colaiocco (sotto la guida prima di Giuseppe Pignatone e ora di Prestipino) insieme agli investigatori del Ros dei carabinieri e dello Sco della polizia. Perché c’è scritto, ad esempio, che «in ogni caso la Procura generale d’Egitto rispetta le decisioni che verranno assunte, nella sua autonomia, dalla Procura di Roma». Affermazione ovvia, ma non scontata.
Per i magistrati del Cairo, le indagini su Regeni sono ferme alla casella di partenza di quasi cinque anni fa; alla «banda criminale» (sterminata in un presunto conflitto a fuoco) che nell’aprile 2016 doveva chiudere il caso.
Ritorno al depistaggio
Fu la Procura di Roma a smascherare messinscena e depistaggio, ma ancora ieri Hamada Al Sawi ha ribadito di voler procedere contro qualche superstite del gruppo. Con l’accusa di «furto aggravato degli effetti personali di Giulio Regeni», quindi non di sequestro. «L’esecutore materiale dell’omicidio Regeni è ancora ignoto», ha aggiunto Al Sawi; un’altra ovvietà, visto che nemmeno la Procura di Roma ha, al momento, individuato colui che materialmente ha ucciso Giulio.
Tuttavia il contesto del rapimento, delle torture e dell’eliminazione del giovane ricercatore universitario, per gli inquirenti italiani è ormai chiaro e imputabile ai cinque graduati della National security e della polizia locale. E il fatto che i colleghi egiziani non abbiano contrapposto una ricostruzione alternativa (limitandosi a procedere per il fantomatico furto di documenti) trasforma quelle conclusioni in un punto fermo. Seppure «senza alcuna implicazione processuale per gli Enti e le istituzioni statali egiziani», com’è scritto nel comunicato congiunto.
Implicazioni politiche
Restano naturalmente le implicazioni politiche, che però riguardano il governo, non i magistrati. Ecco perché i genitori di Giulio dichiarano di «apprezzare la risoluta determinazione dei nostri procuratori che hanno saputo concludere le indagini, senza farsi fiaccare ne’ confondere dai numerosi tentativi di depistaggio». Ma al tempo stesso chiedono al presidente del Consiglio e al ministro degli Esteri «un segnale di dignità perché nessun Paese possa infliggere “tutto il male del mondo” a un cittadino e restare non solo impunito, ma pure amico”.
Stessa richiesta dal deputato Erasmo Palazzotto, presidente della commissione parlamentare d’inchiesta: «La presa di posizione egiziana i è un insulto alla nostra intelligenza, un oltraggio che non possiamo permetterci di subire. Il governo assuma tutte le misure necessarie a tutelare la dignità e la credibilità internazionale del nostro Paese. Questa non è una vicenda privata della famiglia Regeni, ma una questione nazionale che ci riguarda tutti e tutte».
Ieri ultimo colloquio tra i due procuratori L’egiziano rilancia la «pista criminale»