Quel sogno infranto dei farmaci anti Covid
Idrossiclorochina, remdesivir, plasma: per la scienza non funzionano. Contro il virus manca ancora una terapia
Una a una cadono le certezze che guidavano le cure ai malati. Gli studi più recenti modificano le nostre convinzioni sulle poche terapie che pensavamo essere efficaci. Niente plasma iperimmune, niente idrossiclorochina, non dà risultati neppure il remdesivir. Quindi? Restano i cortisonici e le eparine.
Le poche, pochissime certezze che avevamo sulla terapia del SarsCoV-2 in questi giorni si stanno sciogliendo come neve al sole. Il New England Journal of Medicine, la rivista «bibbia» della medicina, ha appena pubblicato alcuni studi che modificano radicalmente le nostre convinzioni sulle, peraltro poche, terapie che pensavamo essere efficaci nel combattere l’infezione. Il primo è un trial randomizzato (i pazienti venivano assegnati in modo casuale a ricevere la terapia sperimentale oppure un placebo) condotto in Argentina sull’utilizzo del plasma iperimmune in pazienti con polmonite severa da Covid-19. Nello studio non si è registrato nessun beneficio nella mortalità a 30 giorni e neanche nella necessità di dovere ricorrere alla terapia intensiva e alla ventilazione meccanica nei soggetti curati con il plasma. La terapia è stata ben tollerata senza particolari effetti collaterali nel gruppo di pazienti che l’ha ricevuta, ma sostanzialmente inefficace. Alcuni aspetti tecnici di questo studio, molto ben condotto, restano da approfondire e necessitano di ulteriori conferme e in questo potranno essere molto utili i risultati del trial italiano denominato «Tsunami» proposto dall’Azienda ospedaliero-universitaria Pisana e promosso dall’Istituto superiore di sanità e da Aifa, che saranno disponibili appena terminato il reclutamento dei pazienti.
Un altro studio invece mette una pietra tombale, se ancora ce ne fosse stato bisogno, sull’utilità dell’idrossiclorochina (l’ormai famoso Plaquenil), questa volta nella prevenzione del Covid-19. I ricercatori americani e canadesi hanno condotto uno studio in doppio cieco randomizzato, placebo controllato, in soggetti che avevano avuto un contatto stretto con qualcuno che era poi risultato essere positivo al virus e dopo quattro giorni hanno loro somministrato o l’idrossiclorochina per cinque giorni o il placebo. Nessuna riduzione del rischio di infezione si è registrata nel gruppo trattato con il farmaco antimalarico, mentre invece si sono avuti un certo numero di
effetti collaterali sebbene non gravi.
Fra le poche certezze che ci restavano una era l’utilità dell’unico antivirale attualmente approvato per trattare l’infezione da Sars-CoV-2, il remdesivir, che sembrava ridurre i giorni di ospedalizzazione, ma, colpo di scena, recentemente l’Oms ha aggiornato le sue linee guida sulla scorta di una metanalisi dei trial condotti su questo farmaco (le metanalisi sono quelle ricerche che considerano i risultati di più studi analizzati assieme, allargando quindi i dati di valutazione), sconsigliandone l’utilizzo. E intanto l’Ema, l’organismo regolatorio europeo che tanto avremmo voluto avesse sede a Milano, sta valutando il da farsi, cosa che potrebbe anche tradursi in una sospensione dell’immissione in commercio per questa indicazione.
Insomma al momento restano come frecce nel nostro arco contro questo maledetto virus i cortisonici per contrastare la tempesta citochinica (la reazione immunitaria e infiammatoria che caratterizza le fasi più acute della malattia) nelle polmoniti ospedalizzate, in Italia utilizzati tempestivamente anche durante la prima ondata grazie a un protocollo promosso dagli Ospedali Riuniti di Trieste, e le eparine per evitare le complicanze tromboemboliche. Francamente un po’ poco.
Al momento ci restano contro questo maledetto virus i cortisonici e l’eparina Un po’ poco