UN RITARDO NELLE SCELTE CHE DIVIDE ANCHE I 5 STELLE
Finora i contrasti sul prestito europeo del Mes si erano registrati tra alleati di governo: da una parte il «no» del M5S, appoggiato da un premier contrario ma «agnostico», pronto a cambiare atteggiamento in caso di bisogno; dall’altra il «sì» di Pd e Iv. Ma da ieri, qualche crepa si è aperta anche nelle file grilline, dopo l’ambigua apertura del leader uscente, Vito Crimi. Ambigua perché Crimi si prepara a votarla, sostenendo però che non userà quei soldi. Per una forza in piena transizione, è bastato questo per creare il cortocircuito. I riconoscimenti a Crimi arrivati da Italia viva, e le accuse di «tradimento» di esponenti del M5S, confermano che la vicenda è il simbolo di una fase già convulsa per il governo. Incrocia l’irritazione dei renziani per un rimpasto del quale non si intravedono né tempi né modi; e il nervosismo di un Pd che trova una sponda sfuggente a Palazzo Chigi per la riforma elettorale e per la gestione dei fondi europei. Il risultato è un’inquietudine diffusa e senza sbocco, che accentua le manovre e le voci di un esecutivo precario. È possibile che, come sostengono a Palazzo Chigi, non appena diventeranno più nitidi i contorni della legge di Bilancio e dei progetti da sottoporre all’Europa, le tensioni si ridurranno. Sullo stesso Mes, si addita un eccesso di ideologia da parte del M5S ma anche sul versante dei sostenitori: col risultato di impedire una posizione chiara dell’Italia. Eppure, nell’ambiguità si indovina anche il tentativo dei grillini di emanciparsi da un populismo che li isola in Europa. La sensazione, tuttavia, è che queste manovre sottovalutino le incognite delle prossime settimane. Da parte del premier si guarda in modo un po’ troppo scontato al Quirinale come «ultima istanza» chiamata a scoraggiare le tentazioni di crisi; e a supplire al deficit di sintesi che Giuseppe Conte mostra di fronte alle tensioni tra alleati.
In più, la sua idea di creare una sorta di «esecutivo parallelo» di 300 tecnici per gestire il Recovery Fund provoca la reazione furiosa del centrodestra, e il silenzio perplesso della propria coalizione. La maggioranza ha buon gioco nel dire che Lega e FdI attaccano il ministro Roberto Gualtieri (Economia) e il premier per velare l’imbarazzo.Tra i nemici dei fondi europei a Paesi come l’Italia compaiono i governi «sovranisti» di Polonia e Ungheria, alleati di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni. Ma questo non basta a cancellare una confusione che solo la maggioranza può contrastare e smentire: anche perché nasce al suo interno.