Tay Calenda, ferita a Parigi «La violenza della polizia qui ormai è strutturale»
La fotografa, figlia dell’ex ministro: «Ho paura che muoia qualcuno»
«Come sempre quando vado a fotografare le manifestazioni avevo il casco, la maschera antigas e gli occhiali da immersione. Ma si sono appannati, a un certo punto la polizia ha caricato e non ho visto più niente, ho sentito un colpo sulla guancia destra, una manganellata. Ma niente di grave, li volto si è già sgonfiato. È andata peggio al mio collega Ameer al-Halbi, siriano. A lui gli agenti hanno davvero spaccato la faccia. La tensione è sempre più alta in Francia, ho paura che ci saranno violenze sempre più gravi e che qualcuno morirà», dice Tay Calenda, fotografa di 31 anni. Suo padre Carlo, ex ministro, fondatore di Azione e candidato a sindaco di Roma, domenica ha parlato di lei con orgoglio sui social media definendola «tosta come l’acciaio». Ieri poi, a chi trovava da ridire, Calenda padre ha ricordato che «mia figlia è una fotografa e ha talmente tanto rispetto per le forze dell’ordine da essere fidanzata con un poliziotto».
Sabato era in piazza per fotografare, manifestare o entrambe le cose?
«Per lavorare, sono una fotografa. Quando partecipo come manifestante lascio sempre a casa l’apparecchiatura. Sono tanti anni che seguo le manifestazioni, quest’estate ho fotografato anche i cortei dei poliziotti e penso che anche loro spesso siano vittime di una gestione dissennata dell’ordine pubblico. Ciò non toglie che la manifestazione di sabato fosse giusta e che l’idea di limitare la libertà di stampa vietando di filmare gli agenti sia incomprensibile».
Da quanto vive a Parigi?
«Da dieci anni. Dopo un anno di Luiss a Roma ho studiato un anno alla Sorbona poi ho lasciato gli studi e ho fatto la cameriera in un ristorante. Mi si è aperto un mondo, preferivo lavorare. Prima di diventare fotografa ho fatto l’assistente luci per i fotografi di moda, e lo faccio ancora, ogni tanto, per arrotondare».
La manifestazione è stata indetta dopo le violenze della polizia su Michel Zecler, accusato ingiustamente da poliziotti poi smentiti dai video. Quella vicenda è uno spartiacque?
«La violenza allucinante contro Michel dimostra che la teoria delle poche mele marce non regge più. In Francia gli abusi della polizia sono un problema strutturale. Gli agenti spesso sono giovani, malpagati, poco formati, mandati allo sbaraglio da gerarchie alle quali nessuno chiederà conto. Razzismo, omofobia e violenza sono presenti nella polizia, inutile negarlo. Bisognerebbe combattere queste derive con maggiore formazione degli agenti ma anche questa parte del servizio pubblico, come scuole e ospedali, è in crisi».
Sabato sono rimasti feriti giornalisti, fotografi come lei e Ameer al-Halbi, manifestanti, e oltre 100 poliziotti.
«L’agente a terra riempito di botte che si vede nel video era davanti a me, una scena terribile. Il corteo può essere anche calmo, ma alla fine arrivano i violenti. Aspettano l’ultimo poliziotto della fila, magari isolato, e lo attaccano. Il branco inferocito mi spaventa, che sia formato da poliziotti o manifestanti è una violenza ingiustificabile».
Cosa pensa di Macron?
«Non mi permetto di giudicarlo. Però la società francese è attraversata da troppi problemi, non dimentichiamo il terrorismo, e il governo dovrebbe cercare di riportare la calma il più possibile. Invece al ministero dell’Interno c’è un uomo come Gérald Darmanin. Da militante femminista e in difesa delle persone Lgbtq+ ho manifestato contro Darmanin. Non si può nominare ministro uno che è indagato per abusi sessuali».
«Darmanin? Un ministro dell’Interno indagato per abusi sessuali è inaccettabile»