Corriere della Sera

Nel profondo del destino umano Un terremoto di nome Nietzsche

Il filosofo tedesco ha esplorato la galassia vitale in cui ognuno è immerso Opere sempre attuali che hanno ispirato concezioni del più vario genere

- di Paolo Ercolani

Friedrich Nietzsche «scriveva con il sangue», secondo Georges Bataille, e quel sangue era il suo. Quello di un filosofo, ma prima ancora di una persona, che aveva saputo scavare la condizione umana fino a svelare il tragico ineffabile che la caratteriz­za: lo scarto fra gli altissimi ideali di cui siamo portatori e le bassezze di una realtà che sembra costruita apposta per smentirli e distrugger­li. Fino ad arrivare alla luce più enigmatica: l’unica verità a cui può aspirare l’uomo è la consapevol­ezza dell’assenza di ogni verità.

Quasi nessuno vuole conoscere la verità, specialmen­te quando essa presenta degli elementi tali da far traballare tutta la fortezza esistenzia­le che l’uomo si è costruito, illudendos­i, in tal modo, di poter abitare il mondo nella dimensione protetta di un orizzonte di senso.

A partire da Socrate e Platone, questo ha fatto l’umanità secondo Nietzsche: illudersi, dimentican­do la lezione di Omero che, ben prima di Ungaretti, aveva scritto: «Tale e quale alla stirpe delle foglie è la stirpe degli uomini», la più miserevole fra tutti gli esseri.

Fuori dalla dimensione apparentem­ente protetta dell’illusione, infatti, c’è l’abisso popolato dai mostri di una vita spogliata dalle confortant­i illusioni e, come Nietzsche stesso scriveva con il consueto stile suggestivo, «chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te».

È ciò che il filosofo tedesco ha fatto, ossia volgere lo sguardo della mente verso l’abisso. Proprio da qui origina il fulcro al tempo stesso «osceno» e terrifican­te del suo pensiero.

Uno che in quanto filosofo e, quindi, «cercatore di verità», si è spinto in tal modo a terremotar­e non soltanto la quasi totalità dei 2.500 anni di filosofia che lo hanno preceduto, non soltanto il senso stesso del «pensare» e la possibilit­à di raggiunger­e un qualcosa come «la» verità attraverso questo strumento umano (troppo umano!), ma alla fine anche il fragilissi­mo equilibrio dell’uomo e perfino il proprio.

È Nietzsche ad aver svelato all’uomo la sua condizione di mezzo e non fine, ingranaggi­o e non fulcro, pedina e non giocatore di un meccanismo impersonal­e («eterno ritorno dell’identico») che egli chiama vita pensando sia sua, quando in realtà ne è soltanto attraversa­to e dilaniato come se fosse il sogno (o l’incubo) di qualcun altro. Tali altezze e bassezze connotano la galassia vitale in cui è immerso ciascuno di noi, così che a fare la differenza sono soltanto la volontà e la capacità che abbiamo di riconoscer­le e analizzarl­e in profondità.

Questo è stato il capolavoro filosofico e psicologic­o di Nietzsche, probabilme­nte in virtù del suo aver sfiorato esistenzia­lmente le altezze di un pensiero forse mai così profondo, salvo poi precipitar­e negli abissi più bassi e patologici. Tutto nella stessa vita, la

L’unica verità alla quale possiamo aspirare è la consapevol­ezza dell’assenza di verità

sua. Ciò in un duplice senso: come pensatore, capace di scavare nei sentieri più nascosti della condizione umana, salvo poi spingersi a dividere l’umanità in schiavi (i più) e signori (pochissimi), e proponendo l’«eliminazio­ne di milioni di malriuscit­i». Ma anche come uomo, di cui molti personaggi autorevoli del suo tempo ebbero modo di ammirare il genio e la grandezza, per poi restare turbati dal suo graduale piombare in una follia che lo spinse a vaneggiare e a scrivere frasi insulse. Fino a mangiare e bere i propri escrementi, stando al rapporto medico dell’istituto che lo ebbe in cura per qualche tempo.

Un filosofo che menò vanto della propria «inattualit­à», ma con una buona parte di torto. Infatti, la visione enigvision­e matica e abissale l’aveva tratta da Schopenhau­er e Leopardi, così come con Darwin, Spencer e Malthus condividev­a l’intendimen­to antagonist­ico e selettivo della natura e della stessa umanità, governate entrambe da una volontà di potenza diversamen­te distribuit­a fra tutte le creature e in grado di muovere ogni cosa. Fino alla teoria dell’eterno ritorno, ideata dagli stoici antichi, rielaborat­a da Schopenhau­er e attraverso quest’ultimo fatta propria da Nietzsche. Il quale aggiunse a tutto questo una integralme­nte sua, quella del «superuomo», in grado di incidere nel futuro in due direzioni: da una parte fu fatta propria in maniera perlopiù grossolana dalla destra estrema (Hitler e Mussolini furono due lettori entusiasti del filosofo, tanto che il Führer regalò al Duce, appena deposto e in occasione del suo sessantesi­mo compleanno, un’edizione delle opere complete di Nietzsche con tanto di dedica).

Dall’altra ispirò, in tempi a noi più vicini, il pensiero debole e il post-moderno, con il suo relativism­o gnoseologi­co secondo cui «non esistono fatti, ma soltanto interpreta­zioni». Ma un fatto è certo: non si può prescinder­e da Nietzsche se si vuole intendere il tempo presente.

Era un genio ma finì gradualmen­te per cadere in una follia che lo spinse a vaneggiare

 ??  ?? Una immagine del famoso filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900) scattata nel settembre 1882 dal fotografo Gustav-Adolf Schultze
Una immagine del famoso filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900) scattata nel settembre 1882 dal fotografo Gustav-Adolf Schultze

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