«Piazza degli eroi», il dramma che fece infuriare l’Austria
Andò, regista della pièce di Bernhard: «Un testo rovente molto attuale»
Strano destino quello della Heldenplatz di Vienna. Una piazza per eroi, scenografica già nelle dimensioni esagerate, ideata dall’imperatore Francesco Giuseppe in vista di future, immaginarie, schiere di paladini della patria. Ma la sola volta che si riempì davvero, il 15 marzo 1938, fu di orde canagliesche deliranti stipate lì in migliaia per festeggiare Hitler e l’Anschlüss, l’annessione dell’Austria alla Germania nazista.
Cinquant’anni dopo quell’adunata spaventosa, il direttore del Burgtheater, Claus Peynmann commissiona al più grande drammaturgo del Paese, Thomas Bernhard, una pièce per ricordare all’Austria quella macchia indelebile della storia sua e dell’Europa. E così il 4 novembre 1988 va in scena Piazza degli eroi, denuncia implacabile di un fascismo mai morto, rinato uguale e forse peggiore.
«Lo scandalo quella sera fu enorme. Fischi, urla, insulti
Al Mercadante Valeria Lucchetti e Imma Villa durante le prove di «Piazza degli eroi» all’autore che fu aggredito anche fisicamente», ricorda Roberto Andò, scrittore e regista, che come esordio alla sua direzione del Mercadante di Napoli ha scelto questo testo rovente, rappresentato in tutto del mondo ma mai in Italia. Il debutto del 9 dicembre (Covid permettendo), trasmesso su Rai5 ai primi 2021, protagonisti Renato Carpentieri e Imma Villa, sarà anche un’occasione di raffronto tra la situazione di ieri e di oggi.
«Nell’88 Piazza degli eroi rappresentò il detonatore di una situazione esplosiva — prosegue Andò —. Il presidente Waldheim, già sotto accusa per un passato nazista, insorse definendo la pièce “un volgare insulto al popolo austriaco”, e il leader della destra estrema Jörg Haider chiese che Peynmann venisse espulso dal Paese. Ma adesso il capolavoro di Bernhard, visionario e realistico insieme, è diventato qualcosa di ancora più forte e angoscioso. Nel frattempo il montare di nazionalismi e fascismi è dilagato ovunque. Ciò che era accaduto in quella piazza di Vienna ora potrebbe ripetersi in una qualsiasi altra piazza d’Europa».
Quel che Bernhard racconta è una storia emblematica di amore e odio per una patria dove lui non si riconosceva più. «La storia inizia con un funerale — racconta il regista —. Il morto è il professor Josef Schuster, intellettuale ebreo tornato a Vienna nell’88 dopo un lungo esilio dai tempi di Hitler. Ma quel che trova è un Paese incattivito, divorato da razzismo e antisemitismo. Non potendo più sopportarlo, Schuster si getta dal palazzo che si affaccia proprio sulla famigerata Piazza. A raccontare la sua vicenda, tentando di trovare una spiegazione per quel gesto, sono il fratello Robert e una governante legata al suicida».
Bernhard, che tre mesi dopo la prima viennese morirà di cancro, lascia intendere di condividere la scelta del professore ebreo. «La domanda di senso di chi resta rivolta a qualcuno che, quel senso non trovandolo, se n’è andato dalla finestra, diventa la domanda del nostro presente. E anche la domanda di un teatro e una cultura impotenti davanti all’orrore della storia. Il fascismo ontologico che sta in noi non ce lo strapperemo mai di dosso, ci dice Bernhard. Non c’è arte, bellezza, poesia che possano redimerci. L’aveva ben capito un altro intellettuale ebreo, George Steiner che nel suo saggio Nel castello di Barbablu evidenzia il paradosso di una Germania terra di Goethe, Bach, Beethoven e ciò nonostante generatrice di un’ideologia che ha sterminato sei milioni di persone».
E allora, davanti alla sconfitta dell’uomo, la sola via d’uscita è la morte. «Una sconfitta dolorosa, tanto più in tempi come questi dove a morire sono così tanti, dove i luoghi di resistenza alla barbarie, i teatri, i cinema, le sale da concerto, i musei, sono chiusi. Mentre il teatro, pur nella sua fragilità, resta il luogo dell’incontro, o come diceva Kantor, il luogo della vita».
Il debutto a Napoli
Lo spettacolo è stato rappresentato in tutto il mondo, mai in Italia Il debutto a Napoli