Fronda nei 5 Stelle contro il Mes Tensione con il Pd
Oltre una quarantina di parlamentari: il 9 dicembre alt in Aula alla riforma del salva-Stati
La fronda nei 5 Stelle accusa i vertici del movimento e mette in discussione la tenuta della maggioranza. Il problema è il Meccanismo di stabilità (Mes). La lettera di presa di distanza è firmata da oltre 40 parlamentari. Il messaggio è forte. Il destinatario è il capo politico del movimento Vito Crimi. Ma viene indirizzata, per conoscenza, anche a Luigi Di Maio, Riccardo Fraccaro e ai capigruppo. Il disagio nel movimento è palpabile, le conseguenze possono essere traumatiche. Crimi convoca un’assemblea per domani sera. Intanto si alza lo scontro con il Pd che ribadisce: non voteremo mai «no» al Mes, che andrà in Aula tra nemmeno una settimana. Malumori anche in Forza Italia.
Una fronda pesante, che mette sotto accusa i vertici del Movimento — sempre più in drammatica crisi di leadership —, e fa preoccupare il Pd e il governo, in vista del voto del 9 dicembre sul Mes, prima del Consiglio europeo. I senatori ne discutevano da qualche giorno, con toni accesi, poi un gruppo di parlamentari ha lanciato l’idea di una lettera in cui si dica un no chiaro e tondo alla riforma del Meccanismo di stabilità.
La lettera viene diffusa con le firme di 52 deputati e 17 senatori. Tra gli ispiratori ci sono Barbara Lezzi, Elio Lannutti, Raphael Raduzzi e Alvise Maniero. Passano pochi minuti e, spaventati dalle conseguenze o coinvolti a loro insaputa, una ventina di firmatari si chiamano fuori. La lettera è indirizzata al capo politico Vito Crimi, per conoscenza a Luigi Di Maio, Riccardo Fraccaro e ai capigruppo. Messaggio violento che funziona, se è vero che Crimi convoca un’assemblea congiunta per domani alle 20.45 su Zoom.
C’è in ballo la tenuta della maggioranza, visti i numeri del Senato. Secondo i firmatari, in questi mesi è cambiata «la volontà di quasi la metà del Parlamento di accedere al Mes, rendendo de facto questo strumento più vicino al nostro paese». Ed è cambiato «il contesto macroeconomico legato alla pandemia Covid che rende ancora più inadeguato questo strumento». I rischi di un voto contrario sono ben presenti: «Non vogliamo in nessun modo mettere a rischio la maggioranza». Ma non si può votare sì: «Irrigidire ulteriormente questi strumenti sarebbe un grave errore storico, e non può bastare dire di non volere accedere al Mes per avallare a cuor leggero una sua reformatio in peius, proprio per via dei suoi effetti immediati e perché nessuno può essere certo di rimanere al governo del Paese per sempre».
La richiesta ufficiale è che «nella prossima risoluzione parlamentare venga richiesto che la riforma sia subordinata alla chiusura di tutti gli altri elementi (Edis e Ngeu) delle riforme economico-finanziarie europee in ossequio alla logica di pacchetto, o in subordine, a rinviare quantomeno gli aspetti più critici della riforma del Mes». I più intransigenti sono disposti a votare solo una risoluzione nella quale si scriva nero su bianco che l’Italia non userà il Mes sanitario. Condizione
I decreti sicurezza
Una ventina di deputati è pure orientata a votare no alla riforma dei decreti sicurezza
inaccettabile per il Pd, che fa sapere che non voterà mai un testo dove ci sia questa clausola di non utilizzo. Il fatto è che le parole di Crimi dell’altro giorno, che avallavano il via libera dei Cinque Stelle alla riforma, hanno irritato gli intransigenti e fatto saltare la mediazione che doveva portare a un testo accettabile per tutti. L’idea sarebbe quella di una risoluzione nella quale si spiega che il ricorso al Mes è possibile solo con il via libera del Parlamento. Che, in maggioranza, è contrario. Mediazione che farebbe rientrare il grosso del dissenso, ma non è detto che basti a placare i più facinorosi. Il punto per M5S è anche politico. La guida collegiale decisa dagli Stati Generali e promessa da Crimi non arriva. Il partito è nel caos, l’ala di Alessandro Di Battista sgomita e i sondaggi certificano un calo netto nei consensi. Se non si pone rimedi in fretta, i Cinque Stelle rischiano di collassare.
A complicare il quadro, l’iniziativa di un gruppo di una ventina di deputati orientata a votare no alla riforma dei decreti sicurezza, nello stesso giorno, 9 dicembre. Un altro schiaffo al Partito democratico, che ha dovuto aspettare sin troppo per sbarazzarsi del lascito più ingombrante del primo governo Conte.