Corriere della Sera

MESSAGGI (AMBIGUI) A BRUXELLES

- di Massimo Franco

Il grillismo al tramonto sul piano politico sta accarezzan­do una vittoria di Pirro sul Mes. Essere riuscito a coalizzare il fronte populista, con l’aggiunta sorprenden­te di Silvio Berlusconi, sul «no» tutto ideologico al prestito europeo, segna un punto a favore del 5 Stelle: sebbene sia molto opinabile che lo segni anche a favore degli interessi dell’Italia. La sensazione è che abbia prevalso una lettura demagogica del Fondo salva Stati; e che, di nuovo, la maggiore forza di governo abbia subito il richiamo della foresta dell’ostilità populista all’Europa.

Un’ostilità condivisa con la destra di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni: la stessa Europa alla quale il M5S cerca affannosam­ente di ancorarsi bussando alle porte delle famiglie politiche storiche. La protesta di deputati e senatori contro il «sì» ambiguo alla riforma garantito dal capo politico uscente, Vito Crimi, evoca perfino una possibile regression­e.

È improbabil­e che sul Mes il governo vada in crisi. Ma i rischi crescono, se non altro per i numeri parlamenta­ri. E comunque non è difficile prevedere che quest’ultimo scarto, rivendicat­o con iattanza dall’intera nomenklatu­ra, peggiorerà la percezione del Movimento nelle cancelleri­e europee. Ma sarebbe il male minore. Il problema è che indebolirà l’Italia e il suo governo a livello continenta­le, perpetuand­o l’immagine di un Paese imprevedib­ile e perentorio nel chiedere fondi ma non nel fornire garanzie a chi li presta. Lo stesso premier Giuseppe Conte ne riemergerà ammaccato, seppure sulla poltrona di Palazzo Chigi. Insomma, sembra proprio il trionfo della peggiore ideologia, in un momento in cui l’emergenza del coronaviru­s imporrebbe il massimo di pragmatism­o e di senso di responsabi­lità. Le reazioni sconcertat­e che si avvertono nelle file di Forza Italia raccontano un disorienta­mento palpabile. È come se con il suo «no» alla riforma del Mes, Berlusconi si fosse riallineat­o in modo subalterno a una Lega che appena pochi giorni fa aveva indotto a votare sì allo scostament­o di bilancio insieme con Fratelli d’Italia. Uno degli effetti collateral­i è di avere incrinato in modo serio i rapporti con la cancellier­a tedesca Angela Merkel e col Partito popolare europeo, che si erano battuti a favore dell’Italia anche contro alcune nazioni Est e Nord-europee; e di avere rincuorato l’ala del grillismo più ostile al prestito. Evidenteme­nte, la tregua interna al centrodest­ra italiano è così precaria da doversi affidare a una sorta di prova di lealtà quotidiana. Ma le contraddiz­ioni dell’opposizion­e non possono velare la spaccatura che si protrae da oltre un anno nella maggioranz­a tra M5S, Pd, Iv e Leu. Sul prestito che riguarda sia la sanità sia, nell’ultima versione, il sistema bancario, e più in generale sui rapporti con l’Ue, gli schieramen­ti si rimescolan­o.

A guardare bene, sul Mes il partito di Nicola Zingaretti oggi appare più vicino a Italia viva che al movimento del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e al premier. Una sorta di inerzia euroscetti­ca ripropone l’asse populista M5S-Lega andato al potere dopo le Politiche del 2018, con l’aggiunta di FdI, di alcuni settori della sinistra radicale e ora di Forza Italia: un fronte eterogeneo ma consistent­e, opposto a uno schieramen­to europeista minoritari­o. E pensare che nel giugno del 2019, l’uscita del Carroccio dalla maggioranz­a e le premesse del secondo governo Conte col Pd erano state anticipate proprio dal voto a favore della presidente della Commission­e Ue, Ursula von der Leyen. Adesso, tutto sembra rimesso in discussion­e.

Dopo mesi, riaffioran­o all’improvviso sacche di resistenza date per sepolte in nome dell’esigenza di governare e di trattare con Bruxelles.

Mostrano un’Italia intrappola­ta in ideologie non solo dure a morire, ma tuttora vive e in grado di condiziona­re i gruppi dirigenti dei partiti. Riflettono un’egemonia che si nutre della cultura dell’emergenza da coronaviru­s; e che in suo nome piega l’intervento obbligato dello Stato alle parole d’ordine assistenzi­ali. Il panorama di confusione e di contraddit­torietà che il sistema proietta all’esterno è fatto per rendere le prossime settimane e i prossimi mesi più complicati di quanto già non siano. D’altronde, le ambiguità e i non detti hanno preparato di fatto il caos che si sta profilando. Uscirne non sarà semplice: in assenza di un segnale forte di Palazzo Chigi, il logorament­o del governo è destinato ad aggravarsi in tempi rapidi.

In Parlamento È improbabil­e che il governo vada in crisi ma i rischi crescono, se non altro per i numeri

All’estero L’Italia appare intrappola­ta in ideologie dure a morire, che condiziona­no i partiti

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