Forza Italia è divisa Il pressing dell’ala pro salva Stati Ma Berlusconi resiste
Grande è la confusione sotto il cielo di Forza Italia. E, a sei giorni dal voto in Parlamento sulla riforma del Mes, la sensazione è che qualcosa possa ancora accadere: dalla conferma compatta del no a una spaccatura, almeno parziale, tra gli azzurri.
Il partito è in subbuglio dopo l’inattesa uscita di Silvio Berlusconi. Non è tanto o solo per il merito della decisione, visto che il Cavaliere già un anno fa — come ha ricordato Antonio Tajani — aveva espresso i suoi dubbi sulla riforma definendola «pericolosa» per gli interessi dell’Italia. Il nodo è soprattutto politico: non aver almeno avvertito i parlamentari e soprattutto aver annunciato il no subito dopo l’ultimatum di Matteo Salvini («Chi voterà la riforma non sarà più nostro compagno di strada»), hanno dato l’immagine di un leader piegato al volere dell’alleato, costretto ad adeguarsi. E, come gli rimprovera il pd Goffredo Bettini, in contraddizione con l’atteggiamento «responsabile» finora mostrato di chi è pronto a votare anche con il governo per il bene del Paese.
Tajani aveva spiegato che «noi non siamo contrari al Mes sanitario, ma solo a questa riforma». Ma molti parlamentari alla Camera (addirittura una sessantina secondo Renato Brunetta, pochi secondo i berlusconiani doc), e qualcuno anche al Senato, sarebbero disposti a votare la riforma in ogni caso perché «è comunque migliorativa» o anche solo per «non sottostare ai diktat dei sovranisti perdendo la nostra posizione europeista», visto che sul Mes «la linea di FI è storicamente vicina al Ppe europeo: sono convinto che Berlusconi saprà trovare la mediazione giusta» dice Osvaldo Napoli, uno degli azzurri che con la Polverini, la Prestigiacomo, Occhiuto — che ha lanciato la proposta di una mozione azzurra con il no alla riforma ma il sì al Mes sanitario, per distinguersi — e Cangini (vicino alla Carfagna) sostengono con più forza la linea dialogante contrapposta a quella considerata troppo filo-leghista. Posizione sponsorizzata da un Gianni Letta che descrivono irritato per quello che considera un errore politico nel quale Berlusconi sarebbe incappato per la pressione dei «falchi» come Ghedini, che però smentisce divisioni o pressione. Sulla linea di Letta c’è anche Mariastella Gelmini, che ieri però ha lavorato per frenare le spinte centrifughe in una calda assemblea dei deputati nella quale con Tajani ha difeso la posizione di Berlusconi («Noi votiamo solo a favore degli italiani, non per fare un favore alla Germania, alle banche tedesche», ha detto tra gli applausi il vicepresidente azzurro), mentre Renato Brunetta ha ferocemente contestato il no alla riforma: «Non c’è alcuna ragione per votare no alla riforma del Mes», e se non fosse approvata l’Italia «sarebbe in un mare di guai: serve senso di responsabilità visto che la maggioranza non ce l’ha». «Il Mes fatto così è radioattivo, ci farebbe fare la fine della Grecia», la replica di Valentino Valentini, fedelissimo del Cavaliere, che ha schierato le sue truppe.
Berlusconi è quindi sottoposto a spinte opposte, ma sembra resistere. Se Sestino Giacomoni dice che il problema è tutto di un governo «incapace di governare, diviso», c’è ancora chi spera che nei prossimi giorni il Cavaliere possa ammorbidire la sua posizione, magari per pressioni dal Ppe. E c’è un’ultima ipotesi, che un aiuto al governo possa arrivare da parlamentari in ordine sparso: dal gruppo Misto Romani e Quagliariello annunciano il sì, altri potrebbero seguirli. La strada fino al 9 dicembre è lunga.