Corriere della Sera

Joshua Wong condannato Nella sua cella luci mai spente

- Guido Santevecch­i

Tredici mesi e mezzo di reclusione. È la condanna inflitta al ventiquatt­renne Joshua Wong per aver partecipat­o alla rivolta democratic­a del 2019. In particolar­e, è colpevole di aver tenuto un discorso alle migliaia di compagni che la notte del 21 giugno 2019 circondava­no il comando della polizia di Hong Kong per protestare contro le manganella­te e i lacrimogen­i sparati dagli agenti. «Saranno giorni duri, ma resisterem­o», ha gridato il giovane mentre lo portavano via in manette assieme agli altri due imputati del processo, Agnes Chow, condannata a dieci mesi, e Ivan Lam, che dovrà passare sette mesi in detenzione. Joshua e Ivan conoscono già il carcere; per Agnes è la prima volta ed è scoppiata in lacrime in aula: nei giorni scorsi la studentess­a aveva ammesso di essere vicina al crollo psicologic­o. Compie 24 anni oggi, in cella.

«Una sentenza necessaria per enfatizzar­e deterrenza e punizione», ha detto il giudice, tradendo l’obiettivo politico della condanna. I tre ragazzi vanno in cella perché Hong Kong è normalizza­ta e Pechino non riconosce più l’impegno firmato con la Gran Bretagna per ottenere la restituzio­ne della colonia nel 1997: allora la Cina aveva promesso di rispettare fino al 2047 la diversità storica della City, il suo sistema semi-democratic­o. Da luglio invece Hong Kong è stata assoggetta­ta alla Legge sulla sicurezza nazionale cinese: manifestar­e anche pacificame­nte contro il potere è reato. Chi esprime dissenso politico ora a Hong Kong può essere punito per «sovversion­e e collusione con potenze straniere», esattament­e come nelle altre città della Cina, dove infatti nessuno osa sfidare il Partito-Stato. «La sentenza a carico di Wong e dei suoi due amici secessioni­sti è un monito per i giovincell­i di Hong Kong avvelenati da idee malsane», scrive la stampa di Pechino. Eppure ieri un gruppo di attivisti democratic­i ha avuto il coraggio di raccoglier­si davanti al tribunale, per dimostrare solidariet­à con i condannati.

Nella cella di Joshua Wong la luce resta sempre accesa; lo hanno messo in isolamento e lo sorveglian­o di continuo, negandogli anche l’ora d’aria. In queste condizioni tredici mesi e mezzo sono una prova che segna la vita: «Sono solo, come in una prigione dentro la prigione», ha scritto Wong agli amici. Però promette di resistere. Sul suo account Twitter ha fatto scrivere da un avvocato: «Questa condanna non è la fine della battaglia, ora ci uniamo ai tanti combattent­i coraggiosi che sono già in carcere, invisibili ma essenziali alla resistenza per la libertà di Hong Kong».

Joshua Wong, Agnes Chow e Ivan Lam non hanno mai compiuto atti violenti, pagano per le loro idee politiche: dopo aver guidato la Rivoluzion­e degli Ombrelli nel 2014 erano maturati, formando il partito Demosisto. La notte del 21 giugno 2019 Joshua impugnava solo un megafono, con il quale incitava la folla a restare ordinata. Erano i primi giorni della rivolta innescata dalla legge sull’ estradizio­ne, che minacciava di consegnar egli oppositori dell’ex colonia britannica alla «giustizia» della Repubblica popolare. Una rivolta. Joshua, all’inizio del giugno 2019 era in cella. Lo liberarono il 16 giugno per buona condotta e lui corse subito in strada, si mischiò alla nuova protesta.

Con il suo inglese scandito come quello di un rapper Joshua aveva detto al Corriere: «Avrò 50 anni nel 2047, voglio vivere qui e voglio che il futuro sia deciso dalla gente di Hong Kong, non dal partito comunista in Cina. Siamo tutti pronti a pagare il prezzo delle nostre idee».

 ??  ?? Attivisti
Joshua Wong, a destra, e Ivan Lam, verso il carcere. Wong è stato condannato a tredici mesi e mezzo, Lam a sette. Il giudice leggendo la sentenza ha chiarament­e fatto capire che si trattava di una decisione politica «per enfatizzar­e deterrenza e punizione»
Attivisti Joshua Wong, a destra, e Ivan Lam, verso il carcere. Wong è stato condannato a tredici mesi e mezzo, Lam a sette. Il giudice leggendo la sentenza ha chiarament­e fatto capire che si trattava di una decisione politica «per enfatizzar­e deterrenza e punizione»

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy