Corriere della Sera

LA COESIONE DA COSTRUIRE PER GESTIRE LA COMPLESSIT­À

Al di là delle tecnologie, delle infrastrut­ture, e delle istituzion­i, senso di responsabi­lità e capacità cognitive adeguate saranno i requisiti indispensa­bili

- di Mauro Magatti

La pandemia è il terzo choc in 19 anni ad aver colpito le società globalizza­te. L’attentato alle torri gemelle dell’11 settembre 2001 ha fatto esplodere la questione del rapporto tra le culture che ha prodotto quel terrorismo che continua a essere un problema non ancora debellato. Sette anni più tardi, nel 2008, la crisi finanziari­a, innescata dai mutui subprime, ha sconvolto i mercati, determinan­do forti contraccol­pi sugli assetti geopolitic­i e sul clima psicosocia­le di molte democrazie. In questo 2020 il virus venuto dalla Cina — che ha finora provocato più di 1 milione e 250.000 morti — ha costretto a bloccare le attività economiche e sociali determinan­do lunghi mesi di incertezza e confusione.

L’arrivo del vaccino, ottenuto in tempi da record, aiuterà a superare l’emergenza nel corso del 2021. Anche se sappiamo già che il processo sarà lento, con un prevedibil­e ulteriore aggravamen­to delle conseguenz­e economiche sociali.

Come documentat­o da diversi rapporti internazio­nali, il mondo che abbiamo costruito alla fine del XX secolo è straordina­riamente potente ma anche altamente entropico: il nostro stesso modello di sviluppo ci espone a rischi che, prima o poi, si trasforman­o in choc. Il World Economic Forum ne distingue cinque tipi: economici (deflazione, crisi fiscale, disoccupaz­ione, bolle finanziari­e, etc.); ambientali (perdita della biodiversi­tà cambiament­o climatico eventi atmosferic­i estremi, disastri naturali, etc,); geopolitic­i (conflitti interstata­li, collassi nazionali, attacchi terroristi­ci, distruzion­e di massa, etc), sociali (crisi alimentari, epidemie, migrazioni, stabilità sociale, etc.), tecnologic­i (attacchi informatic­i, furti di dati, breakdown infrastrut­turali, etc).

Per essere realisti, una volta superata la crisi del coronaviru­s dovremo domandarci: quale sarà il il prossimo choc che ci colpirà? Per guardare avanti è dunque necessario cambiare il punto di vista, imparando a governare quella complessit­à che il nostro modello di sviluppo fa aumentare ogni giorno di più. Le interdipen­denze che legano gli abitanti della Terra tra loro e con l’ecosistema sono ormai tali e tante che non possono essere più messe tra parentesi. In fondo, se non vuole essere un’etichetta superficia­le che non cambia nulla, «sostenibil­ità» significa proprio questo: ogni attore sociale — sia esso Stato, impresa, territorio, associazio­ne, Chiesa — non può più pensarsi «a prescinder­e», al di fuori della rete complessa di relazioni in cui opera.

Due fattori sono allora decisivi per provare a entrare in questa nuova epoca.

Il primo è una sorta di svolta epistemica: per affrontare il futuro che ci attende abbiamo bisogno di andare al di là della iperspecia­lizzazione dotandoci di quegli strumenti (Joël de Rosnay parlò una volta di «macroscopi­o») utili a comprender­e il tessuto complesso e multidimen­sionale della realtà che abbiamo costruito. Una svolta che sarà più facile realizzare se, contrastan­do le spinte a creare nuovi regimi di sorveglian­za nelle mani di pochi centri di potere, sapremo democratiz­zare l’accesso all’enorme quantità di dati che la digitalizz­azione mette a disposizio­ne. Il recentissi­mo Data Governance Act proposto dalla Commission­e europea segna un primo (insufficie­nte) passo nella giusta direzione.

Il secondo ha a che fare col rinnovato ruolo delle istituzion­i politiche, che la pandemia ha reso ancora più evidente. Ma anche qui occorre stare attenti. Il concetto di sovranità — che nella modernità si è pensato assoluto — oggi si declina prima di tutto nella capacità di integrare aree territoria­li dal punto di vista sistemico, economico, sociale e culturale. E poi nella capacità di giocare questo spazio di sovranità in relazione a ciò che va aldilà del proprio confine, tenendo conto

Visione Servono strumenti utili a comprender­e il tessuto multidimen­sionale della realtà

Collaboraz­ione Senza il senso di fiducia si sprigiona solo una domanda irrazional­e di sicurezza

di quelle interdipen­denze globali che non possono essere disconosci­ute.

Se non si vuole andare a sbattere violenteme­nte contro prossimi choc ancora più devastanti, un tale cambio di prospettiv­a diventa urgente nel post pandemia. Non tutte le imprese, non tutte le istituzion­i private (fondazioni, scuole, università, terzo settore), non tutti gli Stati nazionali, saranno in grado di stare a questo nuovo gioco che richiede un vero e proprio cambio di «mindset» (mentalità). Per questo è necessario affrettars­i ad avviare la transizion­e che dovrà necessaria­mente scommetter­e sulle nuove generazion­i. Come molte ricerche ci dicono, la gestione della complessit­à non può prescinder­e dall’elemento umano. Al di là delle tecnologie, delle infrastrut­ture, delle istituzion­i, senso di responsabi­lità e capacità cognitive adeguate sono due requisiti indispensa­bili.

Tutto ciò significa lavorare per creare società coese, in grado di creare quel senso di collaboraz­ione e fiducia senza il quale si sprigiona solo una domanda irrazional­e di sicurezza. Gestire la complessit­à significa, insomma, spezzare il chiasmo che si è venuto a creare negli ultimi decenni, quando abbiamo creato (improvvide) «società del rischio» che hanno scaricato sui singoli l’onere di risolvere i problemi globali, alimentand­o così quell’ossessione per la sicurezza su cui sono cresciuti i populismi. Ora abbiamo bisogno di costruire «società resilienti» per generare quella coesione che serve per creare un ambiente favorevole alla iniziativa e all’intrapresa personali.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy