Il patto uomo-natura si è spezzato E il topo propone: «Epidemia»
«L’assemblea degli animali» scritta da Filelfo (Einaudi): sembra Esopo, ma affronta temi modernissimi
Una favola moderna, così moderna da essere antica, come quelle di Esopo e di Fedro. Quelle in cui ci sono il lupo e l’agnello: superior stabat lupus longeque inferior agnus ossia in alto stava il lupo e molto più in basso l’agnello. Bevevano allo stesso rivo, quando il predone, stimolato dalla sua gola, tirò fuori un pretesto per litigare. «Perché — disse — mi hai intorbidato l’acqua proprio mentre bevevo?». E l’agnello tremante risponde: «Scusa, lupo, come posso fare quello che recrimini? È da te che scorre giù l’acqua fino alle mie labbra». Ma il lupo non ne volle sapere e, insomma, sapete come andò a finire perché questa favola antica, così antica da essere moderna, fu scritta per gli uomini che opprimono gli innocenti con false accuse. E per chi è stata scritta L’assemblea degli animali, la «favola selvaggia» di Filelfo edita or ora da Einaudi Stile libero? Per tutti e per nessuno.
Filelfo, nato in Grecia da una famiglia di origine italiana, ha tutta l’aria di essere uno pseudonimo che cela un autore noto o ignoto. Ma che importa? Ciò che interessa è la fiaba che racconta dell’assemblea di tutti gli animali, del Cielo e della Terra e del Mare, che si ritrovano tutti insieme per discutere della rottura dell’equilibrio tra la natura e l’umanità. Dopo lunghe discussioni in cui parla il giaguaro, prende la parola l’ape regina, si ascolta la testimonianza drammatica del koala sopravvissuto al Grande Incendio australiano, prende la parola il topo che avanza la proposta di diffondere, come accade da sempre nella Storia, un’epidemia: «Io vi dico, fratelli: lasciateli a noi gli uomini. Ci avete impedito negli ultimi secoli di agire, lasciandoci diffondere, non senza frustrazione, solo malattie minori, umilianti, come la leptospirosi o la salmonella. È tempo di darci pieni poteri. Io vi garantisco un uomo morto per ogni animale morto», è la tremenda «strategia del topo» che sorrise scoprendo i suoi dentini aguzzi. Dunque, un’epidemia e i «pieni poteri» che, come capirà il lettore, ci trasportano dal mondo delle favole al mondo dei giorni nostri. Perché, in fondo, le favole sono sempre state il modo migliore per entrare sia nel mondo della letteratura sia nel mondo della vita.
È da bambini che prendiamo confidenza con l’incanto della finzione e ci addentriamo nel regno degli animali in cui il leone, la tigre, l’orso, il cane parlano a noi come noi a loro. Ma, poi, una volta diventati grandi — adulti, anche se con riserva, come diceva Edmondo Berselli — dimentichiamo le favole. Ed è un peccato. Perché le favole, da Esopo a Fedro, da Aviano a La Fontaine ci parlano di noi.
La fiaba di Filelfo e degli animali che diventano umani e degli uomini che diventano animali — animandri — è scritta per i ragazzi che la leggeranno agli adulti che la leggeranno ai bambini.
Gli animali innocenti che vogliono muovere guerra agli uomini colpevoli hanno un che di umano e non sono d’accordo su cosa fare e su come farlo. L’aquila tiene un gran discorso e dice che le cose, viste da lassù, sono sempre andate così e davvero non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Il leone, che si sente il re degli animali, almeno della razza terrestre, contraddice l’aquila e chiama a raccolta i mammiferi per fare la guerra all’uomo. Ma ecco la balena, custode dell’anima del mondo, che parla come un oracolo: gli uomini non vanno eliminati ma devono capire dagli errori e dai dolori. E ancora si fa avanti il topo, dal regno delle tenebre, che suggerisce di affidarsi al pipistrello, il topo con le ali. È l’inizio della fine. Che conduce all’E-stin-zio-ne e alla metamorfosi e alla rigenerazione e così lettore, in questa eterna favola che tu stesso sei, «capisci ora che non sono stati in realtà né il mio modesto piano strategico, né lo zelante apporto del mio compare pipistrello, ma gli uomini stessi a portare il contagio a casa loro?».
È uno strano libro, questo. È una novella ma è fatta da tanti, tantissimi libri e pur parlando una lingua è come se ne parlasse tante, forse tutte. Proprio come fanno le favole in cui gli uomini e gli animali si parlano e si salvano insieme.