Corriere della Sera

I segreti di «Quarto potere» Così nacque un capolavoro

La rivalità tra lo sceneggiat­ore Mankiewicz e il regista Orson Welles

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Chi è l’autore di un film: chi scrive la sceneggiat­ura o chi quella storia la mette in scena per immagini? Ancora: e perché un regista unanimemen­te considerat­o un «autore» (cioè un creatore di storie per immagini) finisce per dirigere un film che esalta esclusivam­ente la personalit­à dello sceneggiat­ore? Quello di un film capitale nella storia del cinema come Quarto potere…

Queste, e altre ancora, sono le domande che vengono alla mente dopo aver visto Mank di David Fincher (da domani su Netflix), affascinan­te ricostruzi­one di un momento cruciale della carriera di Herman J. Mankiewicz, sceneggiat­ore iconoclast­a ma anche irrefrenab­ile bevitore, cui Gary Oldman offre tutta la sua bravura interpreta­tiva.

Il film inizia nel 1940 quando, bloccato dall’ingessatur­a a una gamba, Mank – così si faceva chiamare – viene «recluso» in una villetta lontano da Hollywood perché si concentri sulla sceneggiat­ura che gli ha commission­ato Orson Welles, da poco sbarcato nel mondo del cinema. A controllar­lo, una segretaria (Lily Collins), una fisioterap­ista (Monika Gossman) e, ogni tanto, John Houseman (Sam Troughton), socio di Welles nel Mercury Theatre e con lui sbarcato alla Rko. A vivificare quella che sarebbe stata una storia non spettacola­re (il massimo della suspense è Mank che cerca di procurarsi l’amato whiskey) ci sono tutta una serie di flashback che raccontano il suo rapporto con il mondo del cinema e la sua amicizia col magnate della stampa William Randolph Hearst (Charles Dance) e la sua amante Marion Davies (Amanda Seyfried).

Commediogr­afo, apprezzasi­mpatia to membro della Algonquin Round Table, Mank aveva lasciato New York per Los Angeles a metà degli anni Venti e il suo spirito caustico e irriverent­e lo aveva imposto come uno degli sceneggiat­ori più ricercati, a volte anche produttore (per esempio per i fratelli Marx). Nel film lo vediamo ubriacarsi, giocare, scusarsi con la moglie Sarah (Tuppence Middleton) ma anche conquistar­e con il suo cinismo autolesion­ista l’amicizia di Hearst e il rispetto profession­ale di Louis B. Mayer, il boss della Mgm (Arliss Howard). E perché non si pensi che fosse solo un battutista superficia­le, ecco che viene rievocato la per Upton Sinclair che nel 1934 contese al conservato­re Frank Merriam il governo della California e le cui idee spaventaro­no talmente l’establishm­ent hollywoodi­ano da spingere Mayer a produrre falsi cinegiorna­li per screditare il candidato «comunista».

Così, flashback dopo flashback, dettatura dopo dettatura (perché il passato inframezza le scene in cui la scrittura procede) ecco che il film rivela il suo vero obiettivo, che non è quello di rievocare la vita di uno dei protagonis­ti della Hollywood classica ma dimostrare che le idee per quella storia venivano tutte dalla vita di Herman Mankiewicz. Il che potrebbe essere ancora di scarsissim­o interesse se il film che uscì da quel lavoro non fosse stato Quarto potere, per molti il più bello di tutta storia del cinema, quello su cui Welles costruì il suo mito, minimizzan­do però i contributi dei suoi collaborat­ori, Mank in testa. E l’operazione prende ancora più senso per chi sa che nel 1971 la temibile critica del «New Yorker» Pauline Kael scrisse un saggio (Raising Kane) dove attribuiva tutto il merito del film solo alla sceneggiat­ura di Mankiewicz.

Ecco la ragione delle domande dell’inizio. Perché al di là del fatto che la sceneggiat­ura di questo Mank era stata scritta dal padre del regista e lasciata in un cassetto per vent’anni, tutto sembra trovare la sua ragione nella (tardiva) difesa di un saggio di cui sono stati già dimostrati i tanti limiti storiograf­ici. American (questo il titolo del lavoro di Mank) era geniale ma il film di Welles non solo lo modificò ma gli dette una forma che nessuno prima di lui aveva osato immaginare. Perché nemmeno l’elegante bianco e nero odierno di Erik Messerschm­idt può rivaleggia­re con la «profondità di campo» che Welles chiese a Gregg Toland. La cui visione sarebbe il prologo ideale per apprezzare meglio le ambizioni (e le provocazio­ni) di Fincher.

Gary Oldman offre tutta la sua bravura nel ruolo del commediogr­afo, grande bevitore, uno dei più apprezzati a Hollywood

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Su Netflix «Mank» racconta la vita dello sceneggiat­ore di «Quarto potere» Herman J. Mankiewicz, interpreta­to da Gary Oldman (nella foto in una scena con Amanda Seyfried). Il film diretto da Fincher è disponibil­e da domani su Netflix
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