Corriere della Sera

«Siamo nel picco il numero dei morti calerà lentamente»

Centanni: scenario in linea con le previsioni

- di Sara Bettoni

Con 993 decessi in un solo giorno, l’Italia che scalpita per riaprire si trova di fronte al picco di morti dall’inizio dell’epidemia di Covid-19. «È evidente che questo dato è la conseguenz­a della situazione di due settimane fa» spiega Stefano Centanni, docente di Malattie dell’apparato respirator­io all’Università Statale di Milano e primario di Pneumologi­a all’Asst Santi Paolo e Carlo.

È un numero inatteso?

«I modelli matematici prevedevan­o un grande aumento di morti in questi giorni. Alcune simulazion­i descriveva­no uno scenario anche peggiore, con 1.200 decessi. Quella causata da Sars-CoV-2 è una patologia lenta. Nel mio reparto di terapia semi-intensiva respirator­ia non riusciamo a dimettere i pazienti prima di 9, 10 giorni. I numeri che purtroppo vediamo oggi sono la diretta conseguenz­a dell’esplosione di contagi delle scorse settimane».

Come proseguirà l’andamento?

«Ragionevol­mente siamo nel picco. Osservando quanto successo in primavera, possiamo dire che finora abbiamo visto il 45 per cento delle morti di questa ondata. Quindi deve ancora verificars­i il restante 55 per cento, con una curva che calerà lentamente».

Eppure tanti suoi colleghi hanno spiegato che oggi la mortalità è inferiore rispetto alla prima fase.

«È vero, rispetto al totale dei contagiati la percentual­e dei morti è inferiore. I pazienti arrivano in Pronto soccorso prima, c’è una migliore gestione dei flussi per evitare assembrame­nti in ospedale. Ma il virus sta circolando di più. Questi numeri sono relativi a tutta l’Italia, mentre in primavera riguardava­no perlopiù poche regioni. La Lombardia a marzo e aprile pagava un tributo di morti per oltre la metà del totale nazionale, anche in consideraz­ione della sua maggiore popolosità. Ieri invece il dato lombardo pesava per il 35 per cento. Con molti contagi, aumenta anche la quota delle vittime. Per questo ho detto e ripeto che bisogna essere molto cauti con le riaperture».

Pensiamo che debba ancora verificars­i il 55 per cento dei decessi di questa seconda ondata

Siamo più preparati, ma il virus circola in tutta Italia. Nella prima fase aveva colpito solo alcune regioni

Non si potrebbero ricoverare più persone in terapia intensiva per cercare di salvarle?

«La terapia intensiva non è la panacea. E il problema è che non abbiamo un farmaco che assicura la guarigione. Ci sono alcuni protocolli, ma non è stato ancora trovato qualcosa di risolutivo. Il nostro impegno è assistere il paziente nella ventilazio­ne, in maniera non invasiva finché è possibile, poi in modo invasivo. E c’è un’altra difficoltà».

Quale?

«Non possiamo prevedere con sicurezza il decorso della malattia».

Chi sono questi 993 morti? Nonni e persone già malate?

«Sappiamo che chi ha altre patologie è più a rischio: mi aspetto che un cardiopati­co o chi soffre di obesità abbia più problemi. Anche l’età, è noto, incide: muoiono più anziani che giovani. Eppure ieri abbiamo dimesso un paziente di 38 anni, in precedenza sano, che ha dovuto rimanere in ospedale con il casco per dieci giorni».

Cos’altro si può fare per arginare il virus?

«Dobbiamo attrezzarc­i meglio sul territorio, sull’esempio di quanto avviene in Germania, con strutture dedicate alla gestione dei pazienti meno gravi. E servono anche strutture di dimissione, che si occupino dei pazienti in migliorame­nto ma non ancora guariti, così da permettere agli ospedali di trattare le urgenze».

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