Corriere della Sera

Trump e i media alla resa dei conti

- di Massimo Gaggi

«Avete dimenticat­o che sono la vostra golden goose» (nelle favole dei fratelli Grimm a deporre uova d’oro è un’oca anziché una gallina). Convinto di aver perso le elezioni anche perché non sostenuto con sufficient­e vigore dalla Fox, che pure è da anni schierata con lui, Trump ha ricordato alla rete di Rupert Murdoch, ma anche a tutto il mondo dei media, che nessuno in America sa attirare l’attenzione come lui. Continuerà ad essere così anche quando, il 20 gennaio, The Donald lascerà la Casa Bianca? Se lo chiedono in tanti: dai politici repubblica­ni che vorrebbero liberarsi di lui ma temono la sua capacità di monopolizz­are l’audience a television­i, siti e giornali, inesorabil­mente destinati a perdere ascolti e contatti con l’arrivo al potere di un leader, Joe Biden, che punta su normalizza­zione, buon senso e quindi, anche un più basso profilo mediatico. I media che da 5 anni tengono i riflettori puntati su Trump dovrebbero cambiare strategia. Ma non è così semplice e non solo perché l’industria dell’informazio­ne, che non naviga in buone acque, non può permetters­i di perdere fatturato: in questi anni Trump è riuscito a trasformar­e la politica in uno spettacolo , che ha creato dipendenza nel pubblico, oltre che tra i profession­isti dell’informazio­ne. Disintossi­care gli utenti, anche quelli di sinistra, non sarà facile: la figura del bruto che impersona il male è diventata essenziale anche per i democratic­i. «È il principio organizzat­ore del partito», scrive Frank Bruni sul New York Times: la lotta contro Trump come «pilastro dell’identità politica dei progressis­ti». Il presidente uscente, furioso e incerto sul da farsi, è comunque deciso a restare protagonis­ta: «Cercherò di rimanere qui, altrimenti ci vediamo tra 4 anni» ha detto l’altra sera salutando gli ospiti del suo party natalizio. Poi ha registrato un discorso durissimo: 45 minuti pieni di affermazio­ni infondate sulle elezioni rubate. Toni minacciosi e accuse gratuite. L’ha definito «il discorso più importante della mia vita» ma non l’ha dato alle tv: l’ha messo in Rete su Facebook e, in parte, su Twitter. I media l’hanno ripreso con poca enfasi, salvo quelli della destra trumpiana. La partita del suo ridimensio­namento è cominciata ma, ricandidan­dosi alle elezioni del 2024, Trump resterà sotto i riflettori: difficile sfidarlo per gli altri leader della destra senza una disintossi­cazione della politica americana.

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