«Scala, una Prima mai vista: la lirica diventa un film»
Il regista: «Apertura con le scene di una Milano surreale Tra le voci dell’opera omaggi a Fellini, Risi e Chaplin»
L a Scala lunedì non avrà il suo tradizionale pubblico, ma lo spettacolo lirico diventerà un film di tre ore per la tv e «sarà una Prima mai vista». Il regista Davide Livermore: «Un omaggio a Fellini, Risi e Chaplin».
L’intervista Livermore e il 7 dicembre: tre ore di spettacolo in tv
La prima a apparire in scena sarà Milano. «Una Milano vista dall’alto: deserta, silenziosa, bellissima. Una città sorprendente e surreale. Il nostro spettacolo comincerà da lì» racconta Davide Livermore, regista di casa al Piermarini, suoi gli allestimenti di Attila e Tosca degli ultimi 7 dicembre.
Non c’è due senza tre, l’avrebbe mai immaginato?
«Aprire la Scala con A riveder le stelle è la sfida più sorprendente della mia vita. Il mondo dell’opera raccontato per esser visto in tv. Un format inedito realizzato con il mio consueto gruppo di lavoro, lo studio Giò Forma e D-wok, le cui magie digitali e di realtà aumentata, intrecceranno il flusso musicale con quello narrativo. Lirica e poesia, prosa e cinema per un omaggio al mondo dello spettacolo che tanto ha sofferto in questi mesi di chiusura forzata».
Un racconto di tre ore, dalle 17 su Rai e Radio 3, 24 star della lirica, l’Orchestra e il Coro diretti da Riccardo Chailly. Ma in sala nessun spettatore.
«In realtà ci sarà la platea più vasta di sempre. Oltre alla Rai, Arte trasmetterà per l’Europa e Medici Tv in streaming per l’intero pianeta. Una Scala più che mai spalancata sul mondo. Un segno forte di resistenza. Non a caso la prima e unica a entrare in teatro sarà Euterpe, la musa della musica, che in volo tornerà nella sua casa portando come messaggio i primi versi dell’Orfeo di Monteverdi: Io la Musica son, ch’ai dolci accenti/ So far tranquillo ogni turbato core».
Come sarà la Scala che l’accoglierà?
«Vuota e buia. Unica presenza, un’inserviente, che mentre fa le pulizie si commuove ricordando gli splendori dei passati 7 dicembre. E intanto canticchia l’Inno di Mameli. Ma ecco che su quelle note emblematiche di valori civili condivisi, la sala inizierà a illuminarsi svelando la platea occupata dall’Orchestra, i palchi da cui si affacceranno gli artisti del Coro e le maestranze: tecnici, macchinisti, sarte, attrezzisti… Tutti schierati in difesa della loro arte, del loro teatro».
Dopo l’Inno a chi la parola?
«A un attore, Massimo Popolizio, che attraverso le parole di Ingmar Bergman spiega qual è il senso profondo del teatro, mentre una frase di Ezio Bosso ricorda che l’orchestra è il luogo della democrazia dove ciascuno deve suonare al meglio perché tutti suonino meglio. E la partitura diventa metafora della Costituzione».
Dopo le parole, finalmente la musica...
«Impossibile non cominciare con Verdi, il preludio del Rigoletto. Un’opera segnata dalla censura, il testo di Victor Hugo che ispira il libretto messo al bando per lesa maestà. L’opera lirica è portatrice sana dei temi più caldi della società: il potere, la vendetta, la condizione della donna, la speranza di rinascita».
Quali testi introdurranno questi argomenti?
«Si parte da Racine e Victor Hugo, si arriva a Montale e Pa- vese. C’è una lettera di Verdi a Boito dove chiama Shakespeare papà, c’è una canzone di Sting, “Fragile”, a rammentare la nostra attuale fragilità. E poi testi originali, scritti da me con il mio team, Paolo Gep Cucco, Andrea Porcheddu, Alfonso Antoniozzi, Gianluca Falaschi e Chiara Osella».
E gli attori?
«Oltre a Popolizio, Laura
Marinoni, Caterina Murino, Maria Grazia Solano. E dei giovani talenti».
Altri colpi di teatro?
«Direi di cinema. Un omaggio a Fellini sfruttando il set di Cinecittà che avevo creato per il Don Pasquale nel 2018. Che vede anche un omaggio al Sorpasso di Risi con il famoso spider in volo su Roma. Mentre i versi dell’Andrea Chénier, “Un dì all’azzurro spazio”, cantati da Jonas Kaufmann, evocheranno il finale del Grande dittatore, dove Chaplin sogna un mondo di visionaria attualità».
E dopo un secolo di grande musica, da Verdi a Wagner, da Donizetti a Puccini e Bizet, chi chiude la serata?
«Rossini. Il finale del Guglielmo Tell sulle immagini del concerto di Toscanini dell’11 maggio ‘46, segno della ripresa della Milano postbellica. La nostra è una situazione diversa, ma oggi come ieri la cultura resta il cardine di una rinascita di cui la Scala è stata e ancora è l’emblema».