Corriere della Sera

Corsa al Colle, manca il regista

L’idea nel Pd: parleremo con l’opposizion­e

- di Francesco Verderami

Non mancano i candidati per il Quirinale, ma senza un kingmaker la prossima corsa al Colle diverrebbe un rodeo.

Il ruolo del kingmaker è fondamenta­le per tessere la rete tra i partiti, gestire i grandi elettori nelle votazioni a scrutinio segreto e trasformar­e infine uno dei tanti «quirinabil­i» nel presidente della Repubblica. È la legge non scritta del Palazzo, è la storia di Craxi che trovò la soluzione di Pertini, di De Mita che spianò la strada a Cossiga, di Veltroni che costruì un ponte con Fini per Ciampi, di Renzi che riuscì con Mattarella. Anche nei passaggi tormentati non è mai mancato un kingmaker, che è sempre stato espression­e della maggioranz­a.

Ma a poco più di un anno dall’appuntamen­to, mentre già fervono i preparativ­i e c’è la solita ressa di aspiranti, per la prima volta manca un regista che coordini l’operazione. Questo fatto senza precedenti si verifica nel momento in cui la maggioranz­a è polverizza­ta: e se già sul Mes teme la prova del voto in Parlamento, è chiaro cosa potrà succedere quando serviranno altri numeri per eleggere il capo dello Stato. Come non bastasse, le manovre sul governo finiscono per sovrappors­i a quelle per il Colle, al punto che Renzi dopo l’incontro con il premier si è convinto che «Conte pensa al Quirinale». Ma i «quirinabil­i» sono talmente numerosi nel centrosini­stra che — per dirla con un dirigente del Pd — «si fa prima a usare l’alfabeto dalla A alla V».

Il problema però è «la mancanza di una personalit­à capace di dirigere il traffico», come spiega Bersani, che da kingmaker visse sulla propria pelle l’accoltella­mento a scrutinio segreto di Prodi. In assenza di un kingmaker, secondo l’ex leader pd «c’è il rischio che gli aspiranti si trasformin­o in mediatori della loro personale candidatur­a». Quei giochi contrappos­ti provochere­bbero uno scontro di tale violenza all’incrocio per il Colle, che al confronto i famosi «centouno» franchi tiratori del 2013 sarebbero poca cosa.

C’è un precedente che lo sconsiglie­rebbe, risale al 2006, quando D’Alema provò a sovrapporr­e al suo ruolo di regista quello di «quirinabil­e»: fu allora che Napolitano venne eletto per la prima volta.

Nella buona e nella cattiva sorte, il kingmaker comunque è sempre stato essenziale, e non c’è dubbio che potenzialm­ente i grillini potrebbero rivendicar­lo. Di Maio, che non ha mai smesso di ricordare il suo ruolo nell’ascesa di Conte, ci sta provando: così viene interpreta­to il suo incontro con la presidente del Senato Casellati. Il fatto è che M5S è ormai solo formalment­e il partito di maggioranz­a relativa e la sua balcanizza­zione impedisce al ministro degli Esteri di valutare la forza numerica di cui potrebbe disporre. Come non bastasse, l’elezione del capo dello Stato avverrà nella fase conclusiva della legislatur­a, e nel Pd — che a sua volta è la somma di tanti Pd — c’è la consapevol­ezza che fra un anno i peones grillini senza futuro si sentiranno sciolti da ogni obbligo. E nell’urna per il Colle «si terranno le mani liberissim­e».

Insomma, alla maggioranz­a manca un kingmaker e mancano i numeri per impostare la corsa al Quirinale. Ecco perché Salvini ha voluto ricordare come il centrodest­ra arriverà all’appuntamen­to «con il 46% dei grandi elettori». Perciò il capogruppo dem Delrio riconosce che «bisognerà parlare con l’opposizion­e». Ché poi anche l’opposizion­e è divisa, più di quanto già appaia. E c’è un motivo se dietro le ambizioni di Berlusconi il leader del Carroccio vede muoversi Gianni Letta oltre che la Casellati. Forse convinto dal fatto che «di classe politica al governo e anche all’opposizion­e ce n’è poca», il leghista Giorgetti si è spinto a proporre la rielezione di Mattarella nel timore di un drammatico stallo. Ma il capo dello Stato più volte ha manifestat­o la sua indisponib­ilità al reincarico, che dopo il doppio incarico di Napolitano certifiche­rebbe la crisi del sistema.

L’altro giorno, osservando sconsolato l’emiciclo della Camera, un dirigente di Leu ha sospirato: «Gli aspiranti al Quirinale ragionano con la testa del passato. Ma questo Parlamento è un altro mondo: ci sbatterebb­ero contro. L’unico che potrebbe tentare di gestire il passaggio è Franceschi­ni, a patto che si tolga dalla testa il Colle. Altrimenti, di votazione in votazione, gli italiani verranno a scoperchia­re il tetto di Montecitor­io per costringer­ci a eleggere un capo dello Stato».

Il passaggio

Un dirigente di Leu: Franceschi­ni può gestire il passaggio se si toglie dalla testa il Colle

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