Corriere della Sera

Lo psicodramm­a all’assemblea 5 Stelle Di Maio: non portate Conte sul patibolo

Una decina i dissidenti. «Il governo cade? Non importa»

- di Alessandro Trocino

Nel Movimento, da tempo, non comanda nessuno, né per autorità né per autorevole­zza. Né l’ex leader Luigi Di Maio, né l’attuale capo politico Vito Crimi, né tantomeno un Davide Casaleggio sempre più in disgrazia. Per questo, quando il gioco si fa duro e l’entropia raggiunge livelli pericolosi, si confida nell’intervento del motore immobile, la sibilla del Movimento, Beppe Grillo. Puntualmen­te il post arriva in mattinata — con il titolo morettiano «La Mes è finita» — e puntualmen­te risulta ambiguo. Cosa avrà voluto dire Beppe? I moderni aruspici rovistano tra le sue parole e scrutano la vignetta a corredo, con le tre scimmiette del «non vedo non sento non parlo», per capire se il fondatore abbia voluto dare una mano ai nemici del Mes («strumento inadatto e inutile») oppure sostenere un governo sempre più in difficoltà («lo ha già detto Conte»). Nel dubbio, tutti si approprian­o delle sue parole. Ed è un problema, perché il clima si è fatto rovente e Palazzo Madama il 9 dicembre, quando Giuseppe Conte presenterà la risoluzion­e per la riforma del Mes, rischia di diventare l’epicentro di una battaglia campale. La maggioranz­a è appesa a un filo. ll drappello di dissidenti si è assottigli­ato, ma si attesta ancora intorno ai dieci. Quanto basterebbe per non far passare la risoluzion­e o, forse peggio, per testimonia­re un cambio di maggioranz­a, con il soccorso azzurro di Forza Italia. E così all’assemblea serale scoppia lo psicodramm­a, con immagini grand guignol, come quando Di Maio invita i gentili presenti a «non portare Conte al patibolo» o quando la ribelle Emanuela Corda non esita a parlare di «fascismo».

Nicola Morra è tra chi tira per la giacchetta il «ragionier» Grillo. Sulle sue posizioni ci sono Barbara Lezzi ed Elio Lannutti. Per convincerl­i scendono in campo i big. Tutti i sospetti vengono tempestati di telefonate, uno per uno, in vista dell’assemblea serale via Zoom. Morra è irremovibi­le

Sarebbe da irresponsa­bili votare contro l’esecutivo e il presidente del Consiglio Si vota sulle dichiarazi­oni del premier e del governo in Aula, non si vota sull’accesso al Mes

Luigi Di Maio

Il Mes è uno strumento che non ci piace, obsoleto e potenzialm­ente dannoso e neanche la sua riforma è all’altezza di affrontare una situazione come quella del Covid

Vito Crimi

e lo si accusa di cercare una vendetta dopo il caso delle vituperate dichiarazi­oni sulla presidente Jole Santelli e la debole difesa dei colleghi. Dal Movimento partono veleni nei suoi confronti: «Ma si sa qualcosa di cos’ha fatto in questi mesi la commission­e Antimafia? Copiosi file inutili. Gli impresenta­bili? Pure Rosy Bindi li elencava». Lo spregiudic­ato Lannutti sembra più deciso che mai e dice ai colleghi: «Se cade il governo? Non m’importa nulla». Con la moral suasion ci prova anche la sottosegre­taria Laura Agea, derubrican­do Grillo a un «libero

La lettera dei parlamenta­ri è stata interpreta­ta come se avessimo nel mirino Conte... Con questo metodo diventa impossibil­e lavorare e diventa complicato governare

Alfonso Bonafede

pensatore», come fosse un opinionist­a: «Il presidente convincerà tutti in Aula: finora non ci ha mai deluso». Chissà se convincerà anche Bianca Granato, Mattia Crucioli, Fabio Di Micco, Cataldo Mininno, Marco Croatti e gli altri descamisad­os. Nel Misto, gli ex M5S sono agitati, Elena Fattori è cauta: «Prima voglio vedere cosa scrivono nella risoluzion­e». Crimi intanto accelera, si fa per dire, sugli Stati generali. Annuncia che il 10 dicembre — toh, il giorno dopo il voto sul Mes — si voterà sul documento uscito dal conclave. Quanto alla futura cabina di comando, arriverà con i vaccini, nel 2021. Per ora ci si accontenti del tesoriere, che riconferma la linea di comando: è Claudio Cominardi, indicato da Grillo e vicino a Di Maio.

Non avendo una bussola e avendo già provato a scrutare i confusi punti cardinali di quella di Grillo, si compulsa la più prosaica bacheca di Alessandro Di Battista. Che nei giorni scorsi ha preso le distanze dai quattro europarlam­entari amici che hanno deciso di lasciare, ma ora non sembra affondare il colpo sul Mes come ci si aspettava. «Lo sta per fare», assicura qualcuno.

Il duello con Morra

Morra irremovibi­le sul no. E partono i veleni: la sua commission­e che fa? Copiosi file inutili

«Non si vuole intestare la colpa della caduta del governo, che pure vorrebbe», dice qualcun altro.

Da Palazzo Chigi si respira la proverbial­e quiete prima della tempesta, anche se già si aprono gli ombrelli. In sede governativ­a, si sprecano i riferiment­i alle parole del capo dello Stato, che sembra prefigurar­e come unica via di uscita da una crisi il voto. «Nessuno vuole le urne», si ripete a Palazzo e in assemblea, confidando in una profezia che si autoavveri. Di Maio ai tg ribalta la frittata e spiega che «non si vota sul Mes ma sulle dichiarazi­oni del presidente del Consiglio». Alfonso Bonafede, definisce «grave» la lettera dei ribelli: «Così si indebolisc­e il governo». Crimi non trova più aggettivi per dipingere il Mes male assoluto. Contro cui, però, non è il caso di fare «ostruzioni­smo».

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